
TRAMA
Sal e Sonny chiusi nella banca che volevano rapinare, follia e stupidità degli uomini e del “nuovo” potere mediatico.
RECENSIONI
Ognuno ha le proprie ragioni, anche nell'anarchica e sentimentale avventatezza di rapinare una banca: Sal e Sonny brancolano, da un angolo all'altro, armi in pugno, tentando di non ammettere la sconfitta. Diversi e disgraziati, entrambi reduci del Vietnam, nel caldo agosto del 1972 vengono travolti da istanze superiori, la loro voglia di affermare e rincorrere la felicità e la dirompente invadenza dell'amoralità televisiva: diventano eroi, si intervistano i loro parenti, amanti perché gli sfaccendati abbiano di che impicciarsi. Si formano capannelli di sostegno, un'azione sregolata, minima in effetti, come il tentativo di rapina diventa ingovernabile congiuntura di scontri e sguardi. Arrivano gli agenti del FBI, un frammento per far precipitare la precarietà latente, la canicola crea miraggi di salvezza, l'ottusità, la pochezza di tutti li sbriciola. Lumet si appiccica ai volti ed ai corpi di Pacino e Cazale impazziti in un delirio che li governa, urlano, allargano le braccia, temono i prigionieri come la loro dannazione, infotainment a risucchiarli, da un microfono all'altro, da uno schermo all'altro, sparsi in mille case eppure rinchiusi, costretti nell'estranea banca - altro simbolo del potere - a farsi icone del malessere sociale, pensare che Sal non voleva altro che il denaro sufficiente per l'operazione di cambio di sesso per il suo amante. L'anno seguente (1976) Lumet dirigerà un altro eloquente film sui media, "Quinto Potere, forse troppo a tema, ma in quest'occasione, grazie alla coppia di protagonisti la fusione degli intenti è perfetta: tensione e commozione, pubblico e privato sono trattati con sensibilità e rigore. Ogni accusa va a segno e nella mente rimane il dialogo di Al Pacino con l'amante.

Dopo Serpico, sempre con Al Pacino, Sidney Lumet firma un altro capolavoro del cinema poliziesco, ancora una volta ispirandosi a un fatto di cronaca (avvenuto a Brooklyn nel 1972) ma ingrossando gli stilemi documentaristici (nessun commento sonoro extra-diegetico, uso di luci naturali e camere a mano) e lo spazio dato, per la prima volta nella sua carriera, all’improvvisazione degli interpreti durante le prove, per renderli ancora più credibili. La tensione nelle trattative fra le due fazioni è magistrale, Al Pacino e John Cazale offrono prove attoriali da manuale e alzano il tasso di nervosismo della pellicola che, nonostante si chiuda quasi in una sorta di thriller da camera, sfoggia una macchina da presa instancabile, a specchio del “movimento” nelle teste dei protagonisti accalappiati in un assedio psicologico, in un braccio di ferro che arriva allo spasmo. Quello degli anni settanta era grande cinema anche perché, sotto le maglie di genere, nascondeva riflessioni e riflessi dell’aria dei tempi, fra ribellione al Sistema, disillusione e male di vivere: gli eroi, anche per il pubblico nella finzione, sono i rapinatori ma il discorso va oltre, Lumet accende i fari sul ruolo prepotente dei media nel creare notizie e movimenti di opinione. Lo sceneggiatore Frank Pierson vinse un Oscar con un racconto coraggioso che parlava anche di cambio di sesso, per quanto alcune delle battute più famose siano farina del sacco di Al Pacino (quando incita la folla ricordando la rivolta del carcere di Attica) e John Cazale (la gag del “paese straniero” California). Il titolo fa ironico riferimento al “giorno da cani” che, a New York, indica un giorno afoso in cui non accade nulla.
