Drammatico

L’ULTIMA DONNA

NazioneItalia
Anno Produzione1976
Durata108’

TRAMA

Un ingegnere con bambino a carico ospita in casa una bella maestra d’asilo, ma presto affiorano le prime incomprensioni di coppia.

RECENSIONI

Dopo La Grande Abbuffata, un'altra sentenza di morte: più che "l'ultima donna", è "la fine del maschio" in una società dove la sua figura non può più rivendicare un ruolo da patriarca e la famiglia borghese è superata. Spesso accusato di misoginia, Ferreri fa da megafono al movimento femminista e costringe all'autocastrazione (la paradigmatica scena finale, presagita dal reiterato gesto di tagliare il salame) l'uomo impossibilitato a proporre un modello differente da quello imperante, fallocentrico e schiavo dei bisogni sessuali. Ferreri prende atto della solitudine delle coppie, dell'incomunicabilità fra universi, esigenze, sentire distanti: in esse non v'è rapporto ma competizione, anche nell'accaparrarsi l'affetto del figlio (le madri insegnano giochi istruttivi, il padre costruisce un cannone...); la donna esprime la propria frustrazione con crisi di pianto o gesti  inconsulti, l'uomo usa la violenza, sbandiera il proprio egoismo, si comporta da gallo in un pollaio. Ferreri è particolarmente feroce col suo genere senza più ruoli, se non quello sterile ritagliatosi nella lotta politica e di classe. Nudità e congressi carnali in evidenza (Ultimo Tango a Parigi ferreriano): Depardieu, da maschio esibizionista, gira praticamente sempre nudo e il corpo della giovane e bella Muti porta l'erotismo alle stelle. Tutto ciò fece gridare allo scandalo, non mancano le sequenze "forti" (la masturbazione), ma i frequenti sprazzi di intensa poesia, dove l'autore scopre i corpi in contatto fisico per uno scambio di tenerezze in tre, rivelano che il fine ultimo dell'autore non è la provocazione ma la rivendicazione, per un bambino, di crescere in un mondo senza tabù, dove la presenza dei genitori è sentita anche epidermicamente, e il nido preserva da profilmici inghiottiti da aride costruzioni moderne. Un'opera dolorosa, che chiede il confronto, speculare (anche nella struttura con finale tragico) a quel Dillinger è Morto che catturava lo sguardo e la coscienza con il magnetismo di simboli e gesti emblematici, portando a riflettere in modo sensibile e violento sulla contemporaneità.