TRAMA
Indagando sulla lugubre casa vicina alla loro, i giovani gemelli Rachel e Theo Matheson scoprono i Wilberforce, creature cambia-forma che si nascondono sotto i vulcani spenti attorno ai quali è costruita la città di Auckland. Guidati dal misterioso Mr. Jones e con l’aiuto del cugino Ricky, più grande di loro, i gemelli dovranno riattivare gli speciali poteri che possedevano un tempo per distruggere questo antico male prima che li annienti.
RECENSIONI
Dopo la notevole visibilità ottenuta grazie all'originale debutto con Black Sheep, distribuito in più di cinquanta paesi, il neo-zelandese Jonathan King prova nuovamente a indagare il nero dei brividi con uno stile brillante. L'origine letteraria è l'omonimo romanzo del 1979 di Maurice Gee, anche lui neo-zelandese, già ispiratore di una serie televisiva nel 1982 di grande successo in patria. Uscire dai propri confini e rendere universale un racconto di formazione in cui è centrale la lotta tra Bene e Male non è evidentemente cosa facile. Gli elementi archetipici in grado di agganciare anche il pubblico neofita ci sono tutti: un trauma da rimuovere, dei vicini minacciosi, una casa covo di insidie, un'antica forza pronta a colpire e un legame gemellare molto potente. Fino a quando le premesse restano tali, grazie a un impianto decisamente spettacolare che valorizza la bellezza delle location (la città di Auckland e dintorni) e gli interrogativi della narrazione per mezzo anche di uno score decisamente coinvolgente (Victoria Kelly), tensione e curiosità accompagnano la successione degli eventi. Nel momento in cui la matassa si comincia a districare, però, prevale un lato puerile che ridimensiona il potenziale drammatico dei conflitti riducendoli alla solita lotta di un Bene in corsa frenetica per sconfiggere un Male sghignazzante. Una contrapposizione giocata senza la necessaria abilità nel caratterizzarne i protagonisti, con una sceneggiatura piuttosto inconcludente che si limita ad aggiungere dettagli che poi non sfrutta (tra gli altri i temibili ed enormi Gargantua, creature secolari in temporaneo riposo sotto ai tanti vulcani del peculiare territorio) e ad affidare alle parole il compito di spiegare assurdità e svolte grottesche. Non crea il necessario magma la regia, indecisa tra un lato fantasy, dominante ma non risolutivo, l'horror, non sempre perturbante, e la commedia adolescenziale, solo trasversale e accennata. A risentirne è quindi lo spettatore, che in mancanza di una direzione precisa riduce la sua partecipazione a una mera contemplazione dei luoghi teatro della sconclusionata vicenda e a qualche sorrisetto qua e là. A tratti invadente la computer grafica, ovviamente made in Weta.
