TRAMA
Il silente Stefano accoglie a casa Massimo, Andrea che porta la droga, Piero e suo fratello Riccardo. Massimo, lasciato dalla madre di sua figlia, è depresso e ha una pistola.
RECENSIONI
Partono le percussioni rinforzate dalle cicale, mentre un gruppo di amici si occlude con l’intenzione di sballarsi all’eccesso. Figure respingenti, perdenti all’ultimo stadio esistenziale. Ogni tanto fa capolino la commedia (all’italiana, la solita), finanche divertente (la gag della cometa del Cigno o quella della nave mercantile per la Cambogia), fuori luogo e contesto, come se La Grande Abbuffata fosse girato con la collaborazione di Rocco Papaleo scritturando i caratteri abbruttiti di Ciprì e Maresco. Il sassarese Bonifacio Angius incespica nella direzione degli attori tentando invano la commistione di realismo e reazioni allegoriche, e perde la tenuta/credibilità dei personaggi nel momento in cui dona un background solo a due di loro e muta oltremodo i loro umori, fattore particolarmente evidente riguardo a Riccardo, il fratello minore di Piero, introdotto come riservato e impacciato (guarda in continuazione il fratello, come per ricevere supporto) ma, in una scena a ciel sereno, raffigurato tracotante (quando insulta gratuitamente Massimo) fino ad indossare, per lo meno, una veste che non lo abbandonerà più, fra lo psicopatico algido e il poetico esistenziale. Fatte queste premesse su di un film indeciso e poco riuscito, non si può non lodare il coraggio di Angius di restituire un quadro così disperato e (per lo più) inedito nel cinema italiano, il suo ardire nell’offrire solo caratteri sgradevoli (e, citando Walker Texas Ranger, si ha quasi la certezza sia voluto). È comunque arduo comprendere i suoi obiettivi, oltre le urgenze d’autore e il profondo pessimismo fine a se stesso, soprattutto di fronte a tante ambiguità, dentro (un’elegia degli ultimi? Vedi il paragone con i giganti del Monte Prama) e fuori del film (Angius ha citato certo cinema di Visconti).
