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VOGLIO ESSERE IL TUO SCHIAVO – INTERVISTA A SIMONE BOZZELLI

Alcuni dei lavori di Simone Bozzelli (Silvi Marina, 1994), presentati in questi anni in varie rassegne internazionali, saranno disponibili da febbraio su Prime. Tra questi J’ador, miglior cortometraggio della Settimana Internazionale della critica a Venezia 2020, e Giochi che, presentato al festival di Locarno 2021, ha ottenuto il massimo riconoscimento nella sezione Italiana.corti del Torino Film Festival.
È al lavoro sul suo primo lungometraggio e su un importante progetto top secret per il 2024.
È sua la regia del video dei Måneskin, I Wanna Be Your Slave.


Dal principio: com’è avvenuto il contatto con i Måneskin?
Hanno visto il mio profilo Instagram, sapevano che non mi occupavo di videoclip e hanno richiesto, come avevano fatto con altri registi, una proposta creativa. Alla fine la mia era quella che interessava di più, così abbiamo cominciato a lavorare insieme alla loro art director Aurora Manni, che è stata il collante delle idee di tutti. Le parole d’ordine erano impatto iconico, montaggio serrato ed erotismo. La canzone, il testo e queste parole chiave mi hanno fatto venire in mente la fotografia di Robert Mapplethorpe. Quel mondo è stato il punto di partenza.

E ti sei ritrovato tra le mani il video del gruppo del momento, di un brano destinato a un successo mondiale.
Era scritto che sarebbe diventata una hit, il pezzo era già stato lanciato come singolo tratto dall’album Teatro d’ira ed era conosciutissimo. Aggiungi che non c’era più stato un loro clip da quello di Zitti e buoni, la canzone che aveva vinto Sanremo e l’Eurovision. Tutti aspettavano quel video.

Quanta tensione ti hanno messo addosso queste circostanze?
Tantissima. Sentivo una responsabilità enorme. A differenza del cinema, dove agisci in prima persona a ogni livello, nel videoclip hai a che fare con un cliente che deve apprezzare il tuo lavoro. A un certo punto non sai neanche più se quello che stai facendo ti piace davvero o se ti piace solo perché è apprezzato dal committente. È molto difficile mantenere la lucidità, ancor di più con una pressione di quel tipo.

Una domanda che faccio sempre quando si parla di video, un’arte applicata, per sua natura compromessa col mercato: quanto sei stato libero di fare quello che volevi?
Tanto. Ho trovato, da parte di tutti, la massima disponibilità. Anche economica.

Giochi, 2021

Una circostanza non proprio all’ordine del giorno, parlando di videoclip italiano.
L’importanza del budget era un altro elemento che aumentava il peso della responsabilità. L’intesa, comunque, è stata forte dall’inizio perché il gruppo sposava il mio gusto estetico. Poi la canzone si chiama I wanna be your slave… Per dire quanta affinità c’era col materiale col quale lavoro: di recente ho lavorato a un corto la cui storyline prevede due ragazzi senza nome, designati semplicemente come master e slave. Quando ho letto il testo della canzone ho pensato: se devo girare un videoclip, sarà questo.

Hai una poetica riconoscibile, che definirei già autoriale, uno stile definito, che emerge non solo dai tuoi cortometraggi, ma anche dalla tua produzione fotografica, e in cui a essere indagato è innanzitutto il corpo.
Sono ossessionato dai corpi, non riesco neanche ad allargare al piano medio, soffro letteralmente la distanza. Anche nei corti tendo a non usare totali, perché la geografia che mi interessa è molto più ravvicinata, mi piace soffermarmi sul dettaglio.

E poi c’è il feticcio.
Mi interessa il feticcio come elemento per decodificare l’attrazione o l’interesse che provo nei confronti di una persona. Ma anche sul corpo ragiono in termini di sineddoche, la parte per il tutto: le mani di una persona mi parlano di lei, l’odore di un’altra mi rivela delle cose.


Nel video si percepisce molto questo tuo sguardo, ti soffermi sul dettaglio anatomico, lo erotizzi, anche con una certa ironia: dalle ascelle ai capezzoli come bandiere di fantasie, metti in scena un immaginario che difficilmente si ritrova, in termini così espliciti, nel videoclip italiano.
È che proprio non riesco a esprimermi se non facendo cose che mi interessano. Nel momento in cui il cinema e le immagini in generale sono entrati nella mia vita, mi sono concentrato su quegli aspetti perché era ciò che mi attraeva.

È come se attraverso questi dettagli tu andassi a snidare qualcosa di autenticamente personale, è come se la superficie corporea fosse il paradossale mezzo per arrivare in profondità…
Nel video a essere sondato è anche l’aspetto relazionale: ci sono spesso due persone che convivono nell’inquadratura, qualcuno che agisce sull’altro. Certi dettagli – la mano che strizza un capezzolo, per esempio –  mi aiutavano a esplorare diversi tipi di identità relazionale. Hanno parlato tanto di identità di genere a proposito di questo videoclip, quando in realtà ciò che mi interessava sondare era la varietà di relazioni che si possono instaurare tra le persone, non esaurendole necessariamente nel discorso sadomaso. Volevo indagare diversi modi di essere intimi. Che poi è quello che cerco di esplorare da sempre nei miei lavori, dove ci può essere anche della sofferenza o della sottomissione, ma sulla base di un presupposto fondamentale, la complicità, aspetto che mi preme sempre mettere in evidenza.


A un certo punto è come se l’erotismo non c’entrasse più o, meglio, che c’entrasse solo come strumento di scoperta dell’altro.
L’erotismo è la chiave per accedere all’altro, conoscerlo. Ho fatto un cortometraggio in cui due persone si trovano a letto: nei pochi minuti di quel corto si riesce a capire tanto di quelle persone. Attraverso lo scambio intimo conosci molto più di un semplice corpo, arrivi all’animo della persona.

Il brano parla di amore e sesso senza ruoli predefiniti, in cui  qualsiasi gioco, purché consensuale, è lecito. Mi pare che questa giocosità sia il primo ingrediente del tuo video. Sappiamo che il discorso sadomaso porta con sé un immaginario tendenzialmente cupo. Tu ribalti questo dato per presentare una situazione che ha dei tratti molto solari.
Questa solarità è stata ispirata dal gruppo: loro sono persone così, si approcciano così l’uno all’altro, me ne accorgevo anche stando con loro nei camerini. C’è gioia e fisicità nel loro essere così belli e promiscui, un’autenticità che ho notato subito e che ho voluto portare dentro al video. Il mio ultimo corto si chiama Giochi del resto, e parla di potere e sudditanza all’interno di un rapporto. È vero, l’immaginario BDSM è cupo, fa pensare a dark room, giacche in pelle e latex, si porta dietro un carico molto nero, ma a me interessava soprattutto per esplorare certi meccanismi di potere che lì sono esplicitati, ma, a livello sotterraneo, trovi un po’ ovunque; in una festa di compleanno per bambini trovi le stesse dinamiche: premi e punizioni. Il gioco è alla base del discorso. Ed è un gioco di ruolo con figure che si divertono a dare o a ricevere dolore. Ci sono tanti differenti livelli di felicità e di godimento.

Prima parlavi di Mapplethorpe che questo tipo di immaginario l’ha ibernato in fotografie che hanno l’austerità dell’arte classica, in cui persino un fisting diventa questione di linee e forme.
È il motivo per il quale ho voluto astrarre il più possibile il contesto, scegliendo una location che fosse quasi un limbo, far muovere pochissimo i quattro membri del gruppo, privilegiare pose più plastiche possibile. Perché, come dicevi, Mapplethorpe si portava dietro un’austerità e un classicismo che non lo rendono mai volgare. Anche nelle sue foto più estreme. E infatti se hai notato, a parte il playback, quasi sempre uso la camera fissa. Al massimo faccio uno zoom in modo da dare un certo movimento e rispettare il ritmo serrato della canzone.

Untitled, Robert Mapplethorpe, 1974

Il video ha anche un retrogusto glam…
Mentre a livello cinematografico sono sempre stato aperto a tutto, a livello musicale mi sono chiuso su pochissimi artisti, tipo Bon Jovi e Depeche Mode. A un certo punto era uscito questo Greatest Hits dei Bon Jovi e non so come ci sono capitato… Radiofonicamente erano tornate queste canzoni e, quindi, colpito e affondato dal Greatest Hits, sono passato agli album e ai video, tipo You Give Love A Bad Name, e loro con queste acconciature, i colori, l’effetto pro mist, questi zoom mi sono entrati talmente dentro che mi hanno influenzato.

I Måneskin, che sulla provocazione e sulla fluidità sessuale stanno costruendo l’immagine del gruppo, quanto erano disposti a mettersi in gioco?
Molto più di me! E questo ti dice tanto. C’erano delle cose che avevo remore a chiedere. Anche il bacio tra Damiano ed Ethan alla fine l’hanno proposto loro; lo sputo l’hanno proposto loro: sono idee che non avrei lanciato, ma non per qualche pudore, solo perché non dimenticavo che stavo girando il video di un gruppo di successo che doveva andare su YouTube. Non volevo correre rischi relativi alla visibilità, perché sappiamo quanto sono severi su questi canali.

Avevi per le mani il video di una hit e non volevi creare problemi alla sua diffusione.
Sì, mi autocensuravo, anche tenendo conto del pubblico che segue i Måneskin: fuori dallo studio c’erano genitori con bambini che volevano farsi le foto con loro. Mi dicevo: qui stiamo girando una cosa che deve abbracciare un target ampio, che non comprende solo over 18, ma anche i ragazzini.

Questo è un aspetto molto interessante: un gruppo così in ascesa, alle prese con un video che deve preservare quello standard di successo, non può permettersi censure. Invece osa, non si pone problemi. E non subisce limiti, in tal senso, neanche dall’etichetta?
No, il rappresentante dell’etichetta si divertiva, non ha mai detto «questa cosa no». Era più il gruppo che ci teneva a rivedere certe cose, a esprimere pareri, a discutere. Anche se poi un po’ di timore i discografici alla fine l’hanno avuto, tanto che abbiamo editato due versioni del clip: una “Walt Disney”, per così dire, e poi quella che è andata effettivamente online. Hanno avuto paura che sulla seconda avessimo spinto troppo su certi tasti e che YouTube potesse far scattare il limite dei contenuti adulti, con conseguente obbligo al login. Quindi volevano tenersi una seconda versione nel caso in cui la prima avesse incontrato problemi. In effetti quando è uscito il teaser con lo sputo alcuni commenti insistevano sul fatto che il gruppo cominciasse a esagerare. Ho vissuto una vigilia dell’uscita molto sofferta, anche se alla fine l’accoglienza è stata ottima, perché, ovviamente, messo nella cornice del videoclip, anche quel gesto aveva una sua coerenza. Però il giorno prima mi ricordo che… insomma, non ero serenissimo.

Per quanto Damiano, il cantante, sia frontman di grande impatto, il tuo video dà eguale spazio a ognuno dei membri della band e, soprattutto, esaurisce il suo mondo nel gruppo. È un video chiuso nella realtà fisica e musicale dei quattro. Tu prima parlavi di un limbo.
È stata una mia scelta. Ognuno di loro ha una sua personalità, una particolarità fisica, una propria dimensione performativa: qualsiasi figurazione speciale o attore ulteriore li avrebbe offuscati. Per me era fondamentale che ci fossero loro quattro e basta. Per quanto concerne il possesso di palla, per così dire, tutto quello che fanno, anche le interviste, smentisce la tradizionale supremazia del frontman. Portano avanti questa politica per la quale tutti e quattro sono rappresentativi del gruppo, cosa che mi è piaciuta molto. Io ero interessato a esplorare i corpi, la fisicità e l’oscurità di ognuno di loro.

Amateur, 2019

Come ci si sente ad avere diretto un video che ha oggi 60 milioni di visualizzazioni?
Sono consapevole che il merito sta nel fatto che c’è quel gruppo e quella canzone, però sono contentissimo del risultato perché per me non è stato semplice raggiungerlo, è stato un lavoro che ho affrontato con molta apprensione. Avevamo fatto un piano di lavoro ed eravamo molto stretti con i tempi, ma loro continuavano a ideare immagini e nuove dinamiche… Mi sembrava che ci fosse poco tempo con tutte queste cose da fare, i mille cambi di costume eccetera. Era una macchina produttiva con la quale venivo a contatto per la prima volta e ho vissuto dentro di me questa esperienza con grande struggimento.

Dopo un video così importante hai avuto altre proposte?
La mia mail è stata subissata di richieste di videoclip, anche internazionali, ma non se n’è fatto niente, perché ricordo sempre a me stesso che ho fatto questo video perché loro assecondavano la mia idea e amavano la mia estetica. E perché quel videoclip aveva quel titolo e la canzone quel testo. Ripeto: non volevo fare un videoclip, volevo fare quel videoclip.