Commedia, Recensione

JULIE & JULIA

Titolo OriginaleJulie & Julia
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2009
Genere
Durata123'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia
Costumi

TRAMA

Parigi, 1948. Julia Child è la moglie di un diplomatico americano che decide di dedicarsi a quello che più le piace al mondo: mangiare. Cambierà il gusto del cibo negli Stati Uniti. New York, 2002. Julie Powell lavora a un centro di aiuto per le conseguenze dell’11/9, ma è scontenta di sé. Adora cucinare, però. Prende allora in mano il libro di Julia Child e decide di lottare contro di lei. All’ultima ricetta.

RECENSIONI

Evento di chiusura al Festival Internazionale del Film di Roma Julie & Julia è una (troppo lunga) commedia scolastica che concentra i pochi guizzi nei primi minuti per poi seguire un copione piatto e privo di ritmo. La Ephron dimostra una certa abilità nel presentare i personaggi e la situazione di partenza grazie a un montaggio rapido, ad alcune scene divertenti (la prima lezione di cucina) in cui i dialoghi vivaci e lo straordinario talento della Streep sopperiscono ai fronzoli di una regia che indugia su piatti, profumi e commenti deliziati, ma soprattutto grazie al gioco delle alternanze tra le atmosfere « forti » della Parigi sognante del secondo dopoguerra, tutta mansarde, formaggi e mercatini di verdure, oleografica come nemmeno in Ratatouille, e della New York post 11/9, alle prese con i tragicomici problemi della elaborazione collettiva del lutto. In Julie & Julia non c'è mai la volontà di andare oltre stereotipi e schematismi, anzi è sulla rigidità degli schemi che il film si costruisce e trova i suoi (limitati) pregi: i personaggi sono ben definititi e le simmetrie nei percorsi di rigenerazione delle due protagoniste sono così spinte - fino all'eccesso: si pensi ai due mariti, perfettamente sovrapponibili se non fosse per il diverso carisma di Stanley Tucci - da fare delle due un'unica storia: come ci suggerisce la moraletta finale la Julia Child sempre simpatica e gentile esiste solo nell'immaginazione di Julie come un angelo racchiuso nel libro di ricette a cui lei ha dato vita, leggendolo e mettendosi in dialogo/competizione con esso.
Purtroppo però quasi subito il film si arena su una serie di situazioni ripetute all'infinito (le difficoltà nella pubblicazione del libro di Julia cui fanno specchio gli insuccessi di Julie, i problemi con i relativi compagni, le decine di ricette di cui si segue la preparazione fino all'immancabile « mmm » dell'ospite di turno) privandosi poi del cosiddetto « terzo atto »: all'improvviso la Ephron abbandona i manuali e chiude alla meno peggio dopo il secondo colpo di scena, la scoperta della diversità tra la Julia vera, che la odia, e quella della sua immaginazione che continua a sorriderle mentre le spiega come disossare un'anatra, con conseguente vertiginoso calo di tensione sul finale, forse però obbligata dalla fedeltà al libro. Uno spunto interessante è giusto prima dei titoli di coda: l’annuncio del film tratto dalle vicende di Julie che ovviamente è quello che si è appena finito di vedere, ma si limita a semplice divertissement metacinematografico.

Il ritorno in auge per la regina delle commedie sentimentali anni ottanta/novanta è una pietanza indigesta e burrosa, come spesso solo la cucina francese sa essere. Un’opera fondata per due volte sul Nulla: da un lato traspone il libro/blog omonimo della casalinga annoiata Julie Powell (tecnicamente, questo è il primo film hollywoodiano tratto da un blog: non ne sentivamo il bisogno), dall’altro la biografia “My life in France” di Julia Child, mito autoctono degli americani, che le hanno riservato addirittura un posto per la cucina al National Museum of American History (beata gioventù storica). Non fosse per la prova eccellente di Meryl Streep (negli improbabili panni di una quarantenne), Julia sarebbe inconsistente quanto Julie, blogger insopportabile e capricciosa che gli autori tentano invano di proporre come appassionata sognatrice, figura contraddittoria che oscilla fra la sana fan e la frustrata esibizionista. Il parallelo fra le due figure è del tutto gratuito, non siamo certo dalle parti di Sliding Doors o The Hours: una buona affabulazione avrebbe trovato alcuni punti di contatto oltre la passione per l’arte culinaria, invece qui si arriva addirittura ad un finale dove la distanza fra le due si accentua e nessuno spiega perché. In mancanza di pathos e drammi di rilievo, poi, non giova certo alla pellicola quest’aria da Pomodori Verdi Fritti dove il massimo del turbamento è come disossare un’anatra.