TRAMA
Erik Gandini vive in Svezia ma è nato e cresciuto in Italia. Con Videocracy, torna nel suo paese d’origine, per raccontare dall’interno le conseguenze di un esperimento televisivo che gli italiani subiscono da trenta anni. E riesce a ottenere l’accesso esclusivo alle sfere più potenti, rivelando una storia significativa, derivata dalla spaventosa realtà della televisione italiana, un paese in cui il passaggio da showgirl a Ministro per le Pari Opportunità è puramente naturale. _x000D_
RECENSIONI
In un grazioso libello di qualche anno fa, Stronzate (On Bullshit, in originale), il filosofo Harry G. Frankfurt rileva che una conseguenza diffusa della contemporanea perdita di fiducia nella realtà oggettiva, e nella sua conoscibilità, è l’aver smesso di dedicarsi all’ideale della correttezza a vantaggio del diverso, e alternativo, perseguimento della sincerità. Piuttosto che cercare di giungere a un’accurata rappresentazione del mondo, dice Frankfurt, l’individuo ha deciso di orientare i suoi sforzi verso il tentativo di fornire oneste rappresentazioni di se stesso. La sincerità – o meglio, direbbe chiunque abbia avuto la possibilità di riflettere sulla filosofia morale dei programmi à la De Filippi, l’autenticità o l’essere se stessi – nonostante in questi termini risulti filosoficamente scorretta (una stronzata in sé, scrive Frankfurt) è uno dei più saldi valori dell’etica privata e pubblica dei nostri tempi. E l’egemonia politica di Berlusconi dimostra che essa, questo concetto immediato e portentoso di autenticità, è anche uno dei più saldi valori politici dell’Italia, l’unico che nella selva intricata dell’inconoscibile (dai dati economici e finanziari all’accertamento giudiziario dei fatti, dall’attuazione delle promesse elettorali alla correttezza delle dichiarazioni riportate dalla stampa, nulla è conoscibile) mantiene solidità e può essere oggetto di giudizio.
Probabilmente, questa è anche l’architettura ideologica che sta dietro a uno dei caratteri più forti e stupefacenti dei “personaggi” di Videocracy: il candore. Un candore efferato, che a Gandini, quando tralascia il sillogismo sociologico e l’efficace rimodellazione audiovisiva della tv italiana, riesce di ritrarre in modo, lo dico ancora, stupefacente. Questa candida stupefazione ha la sua letteralizzazione pacchiana nella posa statuaria e infantilmente sorridente di Lele Mora in abiti bianchissimi contro il bianchissimo sfondo di pareti, lenzuola, divani, pavimenti. Un nulla candidissimo, che si bea innocente di gadget nazifascisti. Gandini indugia sui corpi in posa, in attesa, quei cinque o sei secondi di troppo che servono a straniare la consistenza del gesto. È un meccanismo grottesco che, come scrive David Foster Wallace nel suo David Lynch Keeps His Head, Lynch applica alle espressioni facciali e che Ciprì e Maresco hanno ossessivamente usato contro più o meno inconsapevoli “persone vere”, impresari del cinema, poetesse, freaks, critici cinematografici. Ma in Videocracy – qui la stupefazione – questa figura stilistica non aggiunse senso, ma lo toglie. Crea il vuoto pneumatico. Candidissimo. L’aspirante showboy, Mora, Corona: i loro corpi e la loro autenticità ci fissano dall’epicentro di un gorgo che risucchia con gentile determinatezza ogni possibile senso intorno a loro. Sono agenti di una metodica, gioiosa, anestetica cancellazione del quadro.
Il candore di Ricky, l’operaio bresciano che vuole sfondare in tv grazie al suo mix inedito (e, sembra che lui pensi, geniale) tra calore latino e fisicità marziale, tra Ricky Martin e Van Damme, è tenero. Il candore di Lele Mora è puro horror. Il candore di Corona, che è l’unico che tenta di spacciarsi per furbo, è desolante. Tutti e tre, come anche le decine di ragazzine che si dimenano nei provini itineranti, come gli ospiti palestrati della villa di Lele Mora, come la vicina di Berlusconi che vende scatti privilegiati sul web, come il Presidente stesso, come – sembra – tutto il Paese, sono ossessionati dal corpo e dalla sua rappresentazione pubblica. Rappresentazione (e rimodellazione / contraffazione / ricostruzione) seriale, sempre identica a se stessa, anonima. L’evidenza del corpo è, anch’essa, candida. Levigata autenticità (a prescindere dalle mostruosità chirurgiche o dai sorrisi ebeti conficcati a forza su tutti i volti danzanti). L’evidenza del corpo, più ancora del concetto di autenticità (pur sempre astratto) è l’antidoto all’inconoscibile. C’è – contro ogni arzigogolo contrario. Offrirsi all’occhio televisivo, trasformarsi in Televisione, dona all’individuo il suo statuto ontologico [1].
Videocracy non vuole addentrarsi più di tanto negli affari di Berlusconi, negli intrichi tra soldi e potere, negli anni dell’ascesa o in quelli del governo; la videocrazia che prova a descrivere è, invece, una rivoluzione culturale. Gandini è legittimamente partigiano: usa le interviste per costruire fascicoli di prove; usa la colonna sonora per forzare emozioni e associazioni, per articolare tesi. Tuttavia, lo stile è controllato e la retorica è affidata alla rielaborazione di musica e immagini, con momenti alti (l’agghiacciante Lele Mora immerso nel bianco; Corona fastidiosamente convinto di sé; il provino per veline di fronte a un’imbambolata folla dell’hinterland; il balletto rallentato delle aspiranti veline, meravigliosamente lynchiano), sintagmi un po’ triti ma efficaci (la parata del 2 giugno; il “manipolatore” del pubblico in un programma Mediaset; il faccione di Berlusconi) e qualche momento di noia. Videocracy non si lancia nell’inchiesta, non abbraccia la foga irruenta di un Michael Moore, né spinge sino in fondo la via del “documentario creativo”, scegliendo invece una misura media tra indagine a tesi, blobbismi e l’inquietante caleidoscopio del popolo di Berlusconi, il popolo italiano. Che finisce per essere, con quei volti spenti e plaudenti, il personaggio più disturbante del film.
[1] Nei mesi scorsi, ci sono state due efficaci e intelligenti riflessioni sul corpo nell’immaginario dell’Italia berlusconiana: Il corpo del capo, saggio di Marco Belpoliti sulla cura scientifica e sull’uso politico che Berlusconi applica al proprio corpo e alla sua rappresentazione per immagini, e Il corpo delle donne, documentario di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi sulla rappresentazione del corpo femminile nella tv italiana.