TRAMA
La dirigente televisiva Katy Courbet, per sbaragliare le emittenti concorrenti, progetta il più estremo reality show della storia americana: Live!_x000D_
RECENSIONI
Live è filtrato, vissuto in tutto il suo processo d’ideazione, dalla tremolante e amatoriale camera di Rex, un immacolato regista che spera di realizzare, nella più sincera obbiettività, un documentario sui meccanismi di un network televisivo.
Siamo così calati all’interno della diegesi e, secondo le premesse, custodiamo la prospettiva di spettatori privilegiati, peccato che il centro nevralgico della nostra “inchiesta” (Katy Courbet, dirigente e madre dell’innovativo reality) divenga la porta per le nostre inibizioni morali. Eva (di nome e, di fatto) ci tenta con la mela, corrompe (con presunzione metaforica) la nostra prospettiva di voyeur critici e distaccati, portandoci in campo (Rex gradualmente si interessa del progetto, diventandone collaboratore a tutti gli effetti) e consacrandoci vittime della notorietà. C’è una pulsione scopica, erotica, che ci spinge a seguirla, a rimanerle attaccati. Katy diventa il nostro oggetto del desiderio (entriamo sempre più in intimità con lei e, alla scorza della donna in carriera, si affianca la lussuria di un’ammaliatrice) e prefigura quello del pubblico di Live, nell’inconsapevole estasi per l’istantanea della morte[1]. Costruzione a suo modo affascinante, ma plateale nel gioco dissacratorio che Guttentag ci propone. L’attacco spudorato nei confronti della possibile evoluzione mediatica, perde di forza, non è mai graffiante, cerca frammentariamente di giocare sui clichés (i video introduttivi dei sei concorrenti) e vanifica concetti con una trasparenza per certi versi semplicistica (rottura dei tabù in nome dei principi della democrazia, i rapporti incerti tra Diritto e Morale). Niente da dire sull’efficacia dell’esordio di Live che funziona bene grazie al grottesco uso dell’attesa e ad una suspence pressante. Rimane però il rimpianto verso un tentativo, seppur “datato, che poteva insistere con più spessore nell’analisi del dietro le quinte.
Il morto ovviamente ci scappa.
Possibili sensi di colpa? Un trascurabile sintomo passeggero.
[1] Desideriamo a tal punto il corpo di Eva da ottenerne il rovescio impressive della bellezza. Stesso concetto per Live: la (perversa) logica della visione nasconde, dietro il divismo dei finti sogni americani (i sei partecipanti), il suo irriducibile opposto. Il pubblico vive lo spettacolo non tanto come identificazione nei possibili vincenti, anzi, quello che conta veramente, è l’eccitazione, anestetica, del fallimento.
Ma se lo spunto iniziale affonda le radici nella letteratura, il sostrato cinematografico si nutre di suggestioni provenienti dai film di Argento e dalle produzioni Hammer, in una sorta di crossover orrorifico-gotico sul quale si innesta il tentativo di elaborare una mitologia vampiresca che si riallacci ai racconti del folklore celtico e bretone (lambientazione in Bretagna, le leggende sui fuochi fatui,) e che, al contempo, si distacchi dalliconografia convenzionale (la fotofobia, i parafernali religiosi). Il secondo lungometraggio del duo Bustillo-Maury compie dunque una brusca sterzata rispetto alla tranciante violenza di À lintérieur: il realismo tangibile del film desordio, già divenuto oggetto di culto e impostosi come punta di diamante della Nouvelle trouille, trascolora qui in arrangiamenti stilistici più contemplativi ed eleganti, in configurazioni audiovisive spinte progressivamente verso tonalità macabre intrise di morboso lirismo. Ed è nella disciplina della danza, comunemente associata al binomio grazia/bellezza, che Bustillo e Maury individuano una pura sofferenza da declinare in chiave fantastica: il personaggio di Deborah Jessel (interpretata dalla ballerina Marie-Claude Pietragalla) coagula paradossalmente in sé i tratti antitetici di orrore presente (il ripugnante status di mummia/vampiro) e perfezione passata (lintransigente istruttrice di una scuola rinomata).