
TRAMA
La vicenda di Rita Atria, figlia di un boss mafioso ucciso da un clan rivale, che dal pretendere vendetta arriva a comprendere il valore del chiedere giustizia.
RECENSIONI
L’opera di Amenta da un lato si inserisce nel filone celebrativo dei caduti di mafia possedendo di quello il tema, le ambientazioni, i caratteri e, soprattutto, la struttura narratologica fondata sul contrasto tra due sistemi di valori, connotati in maniera assoluta uno come bene e l’altro come male, ai quali si ascrivono i personaggi, divisi in eroi e antieroi; dall’altro lato riconosciamo almeno due aspetti che si oppongono a questa tradizione o che perlomeno rispetto a essa tendono a costituirsi come elementi che individuano l’opera nella sua singolarità. Il primo è soltanto intenzionale, ovvero la pretesa non storicità, segnalata da una serie di indizi, più evidente dei quali è il fatto che dei personaggi non viene mai detto il cognome (chi non conosce già la vicenda capirà solo con i titoli di coda che il giudice non è altri che Borsellino): sembra, cioè, che Amenta voglia superare i fatti per raccontare una storia, come accade nel capostipite e capolavoro del genere (in senso trans-artistico) ovvero Il giorno della civetta; nello specifico l’attenzione si focalizza sul percorso di formazione di Rita verso la presa di coscienza della giustizia come bene assoluto e, in parallelo, verso il crollo delle illusioni di bambina. Tuttavia l’opera di astrazione dalla Storia verso una storia, la messa in forma di un racconto autonomo, non riesce: di questo percorso, lineare e quasi privo di momenti dialettici, la sceneggiatura enuclea una dopo l’altra le tappe significative, scandite da abbondanti frasi e situazioni enfatiche che spesso valicano il limite del ridicolo (esemplare una battuta con cui la protagonista commenta nel suo diario il periodo successivo alla morte del padre: “perfino i pomodori sapevano di sangue”), non concedendo spazi alla creazione di atmosfere, alla definizione dei personaggi, a tutto ciò che esula dal fatto, dall’azione ovvero quello che permette di distinguere un racconto dall’esposizione di un avvenimento. Nell’opera di Amenta la tensione verso la messa in forma, invece di aprirla verso l’Altro, riduce la realtà a schema, i personaggi a marionette dalla problematicità prefabbricata - monolitici fino all’inverosimile sono sia il giudice, sia la madre di Rita, sia Vito - che sembrano vagare a mezz’aria tra i loro referenti storici dai quali sono distaccati - c’è come un rifiuto del dato fattuale, degli eventi, nel loro essere appena accennati e, soprattutto, non inquadrati nel contesto storico - e le figure ideali del racconto che non riescono a raggiungere perché la costruzione di queste è limitata a una serie di sequenze, peraltro attinte a un repertorio abbastanza banale, che si pretende significanti della personalità dei protagonisti - le corse in moto di Rita con il padre, le di lei storie d’amore - ma che nel loro essere autonome e isolate, paiono come aggiunte posticce. C’è poi un altro aspetto che distingue La siciliana ribelle ed è un’estetica antitelevisiva fatta, però, di scelte che si sostiene valide una volta per tutte: sempre la cinepresa è molto mobile e sempre il montaggio rapidissimo, tanto da risultare ingiustificati scadendo nel vezzo; significativa è, invece, la cura del dato visivo, merito quasi esclusivo di Bigazzi la cui mano è riconoscibile dalla prima inquadratura: a lui si deve una fotografia attenta ai contrasti cromatici, limpida, petrosa, che crea interessanti suggestioni spaziali con l’uso massiccio di grandangoli. Tuttavia gli sforzi di Bigazzi solo in pochi momenti riusciti - l’inseguimento al cimitero con i mafiosi che sembrano quasi uscire dalle tombe; le gabbie degli imputati durante il processo che circondano a semicerchio la protagonista, riprese come quelle delle belve feroci nelle arene - si armonizzano con vere trovate di regia in grado di dare quel di più che sublima il momento caricandolo di senso; nella maggior parte dei casi si limitano a coprire, come un trucco ben fatto su un volto non più nel fiore degli anni. Mediocri gli interpreti, compresa la protagonista che nonostante il carisma ha ancora davvero tanto da imparare.
