Horror

BORDERLAND

Titolo OriginaleBorderland
NazioneMessico/U.S.A.
Anno Produzione2007
Genere
Durata104'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Tre ragazzi partono per il Messico: divertimento, alcool, sesso, droga e setta spietata che si diletta in sacrifici umani._x000D_

RECENSIONI

Può sembrare l’ennesima derisoria vendetta terzomondista, ma non è così. L’allegra compagnia di giovini occidentali c’è, la squinternata essenza di una disinteressata e cinica visione del mondo, e anche l’oscura minaccia che trasforma l’illusorio paese dei balocchi (il Messico) in una messa al macello; tutte premesse della sanguinolenta e moralistica corrente horror di questi tempi. Il male di Borderland, tuttavia, vorrebbe spingere la controparte capitalistica alla beneficenza. Si tratta di pedestre ironia, ovviamente, dal momento che la presa di coscienza del good boy Ed nello smantellare con l’ex poliziotto Ulisses l’occulto narcotraffico di Santillian si risolve con il più tipico bagno di sangue. I valori che costui si porta dietro (rispetto della cultura straniera, sogni di volontariato in Africa, estromissione della componente machista, profondo senso dell’amicizia) sfumano di fronte ad una irrazionale violenza, di cui, inevitabilmente, farà parte. Un’iniziazione al male, lontana da infantili luoghi comuni (le speculazioni retoriche ad inizio film), rimorsi ruffiani (il senso di colpa di Henry) o ipertrofiche allucinazioni religiose (la preghiera di Phil sotto tortura). Più che un’opera umanitaria, il punto di arrivo sembra l’eterna affermazione dell’individualismo, dell’uomo che sviscera la sua natura feroce, distruttiva.
Nel vedere Ed che infierisce sul cadavere di un cattivo, non può non tornarci alla mente Doug de Le colline hanno gli occhi (Aja).
Fondamenta tematiche stimolanti, ma rigorosamente annacquate da uno stile per la maggior parte usurato (dall’acido contrasto cromatico fino al “disturbante” uso di sovraesposizioni e fuorifuoco), infantilismo autoriale (mi limito alla sequenza del trip al Luna Park), meccanismi di tensione che si scaricano nell’autocaricatura (il tanto atteso rituale) e (contrat)tempi d’introspezione psicologica (un interesse che se da una parte desidera mettere in moto le contraddizioni prima esposte, dall’altra nega al genere, con un banale assetto logorroico, i tempi serrati di cui ha, necessariamente, bisogno).
E’, a tutti gli effetti, una terra di confine.