Drammatico, Recensione, Spionaggio

NESSUNA VERITÀ

TRAMA

Roger Ferris, agente della CIA “sul campo” in continuo contatto col più anziano Edward Hoffman, è sulle tracce di un pericoloso terrorista internazionale. Nella sua ricerca si dovrà alleare coi servizi segreti giordani, ma le cose rischiano di complicarsi troppo…

RECENSIONI

Visivamente parlando, da Scott Ridley sappiamo ormai cosa aspettarci. Magari ha trovato un centro di gravità registico nella veste di blockbustermaker di lusso, magari saranno i suoi (più o meno) fidi collaboratori come Pietro Scalia, fatto sta che dal Gladiatore in poi lo specifico filmico delle sue uscite “spettacolari” è più o meno sempre lo stesso: realismo artificiale, primi e primissimi piani umanizzanti, cinepresa mobile con uso generoso della macchina a mano, iper-responsabilizzazione del montaggio (parallelo e alternato) al quale si delega spesso il compito di fare senso. In questo Nessuna Verità (d’ora in poi Body of Lies, e che diamine) si riscontrano casomai iniezioni del solido e meno pretenzioso mestiere di Scott Tony (le plongée panottico-tecnologiche à la Nemico Pubblico) e una maggiore intelligibilità nelle sequenze d’azione, con sacrosanto abbandono di quell’aura “subliminale” che aveva ammorbato i precedenti lavori (Le Crociate – Kingdom of Heaven in primis). Ma l’aspetto forse più interessante di Body of Lies è l’apporto dello sceneggiatore Monahan. L’umile opinione di chi scrive, è che il maccherone Scott abbia trovato il suo cacio. Il copione de Le Crociate ci aveva già colpito per lo scafato equilibrismo e per la capacità di tenere un piede in numerose staffe (narrative, politiche, culturali) e al suo esordio Monahan si era dimostrato un adorabile, iperprofessionale paraculo. Per The Departed aveva confezionato un altro lavoretto pulito pulito, ma è con Body of Lies che il Nostro si dimostra esemplare interprete dello Zeitgeist hollywoodiano nel settore “scottante attualità”. Lo script del film affronta infatti la “guerra al terrore” aggirando gli ostacoli, smussando gli angoli, parafrasando gli snodi più scomodi e finisce per diluire tutto in una brodaglia che non dice niente ma lo dice in modo molto edificante, digeribilissimo e al contempo finto-profondo. Da qualche parte tra ingenuità e disincanto. E senza dimenticare tutti i dovuti dazi da pagare al genere (intrighi, doppi giochi) e alla necessità del prodotto di coccolare il suo pubblico (love story e happy end compresi)! E bravo il nostro William Monahan. E soprattutto perfetto per il nostro Ridley Scott, che ha trovato il partner ideale per proseguire (e magari concludere) l’onorata carriera come regista on demand ammantato di una passata (e probabilmente presunta) autorialità.

Ben sceneggiato (dal romanzo di David Ignatius) dallo stesso William Monahan de Le Crociate, ha con quest’ultima opera non pochi punti di contatto: l’uomo d’onore occidentale che guadagna il rispetto dei musulmani “buoni” e le ire dei guerrafondai crociati, l’ambientazione in Medio Oriente con il messaggio edificante di “capirlo”, viverlo e non demonizzarlo. Ridley Scott immette un altro tassello nella sua saga bellica moderna (vedi il pregevole Black Hawk Down), dove bacchetta l’impero americano e la sua miopia presuntuosa nel credere che la politica internazionale si possa dirigere a distanza, con bottoni e strategie prepotenti: il suo rappresentante è il burocrate adiposo di Crowe, che ordina la morte mentre accompagna i figli al cinema. In una parola, è Bush, dove Di Caprio, invece, rappresenta la nuova coscienza americana che si fa strada, che crede nella distensione e nella socializzazione: infatti, nel finale, gira le spalle al suo paese perché ha imparato ad “amare” l’Altro Mondo. A parte ciò, e come sempre, la messinscena di Scott è magistrale: nessun altro sa girare una scena come quella del primo attentato, con le jeep nel deserto. Questione di istinto per l’immagine, di senso adrenalinico del ritmo di montaggio, di realismo nella ri-costruzione degli ambienti (perfetti, per quanto “finti”: è stato girato per lo più in Marocco). Rispetto a Syriana è più spettacolare e coinvolgente e, in qualche modo, replica la contrapposizione fra colleghi di Spy Game.