Animazione

BOLT – UN EROE A QUATTRO ZAMPE

Titolo OriginaleBolt
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Durata97'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La storia del cagnetto Bolt che non sa discernere la realtà dalla finzione.

RECENSIONI

Nel passare da una vita straordinaria ad una normale, Bolt vorrebbe, col sorriso, riacquistare una non ben chiara semplicità, un nonché di nostalgica trasparenza che il cinema d’animazione contemporaneo sembra aver perduto. Lo fa sbattendo la testa in continuazione contro vetri, sbarre, e ogni genere di confine che, dal cinema/finzione dovrebbe aprirgli uno sguardo al mondo così com’è, senza i fronzoli di effetti speciali o di eterni scontri tra il Bene e il Male. Un po’ alla Truman Show [1] (la citazione è piuttosto chiara) per poi cinguettare allegramente su usurati richiami folk, di treni che attraversano la campagna di un’America incontaminata e di canzoni che inneggiano ad un’esistenza libera, semplice per l’appunto.
Credo sia una visione consolatoria, che rende contenti per così tanta mitezza, ma anche usurata, soprattutto se il discorso vive di semplici indicazioni (come vedete la semplicità è dappertutto) e l’immagine, insieme alla narrazione, se ne sta zitta e buona, senza donare un carattere, uno spessore che dia credibilità. Va bene sabotare la forma (nell’eccesso della spettacolarità) per il contenuto, ma, a conti fatti, è proprio quest’ultimo il problema, incomprensibile nella sua miniaturizzazione (si parla di una piccola e mal posta parte di film) e nel suo stacco improvviso che si presenta come una scelta a dir poco semplicistica (sempre di semplice si tratta) [2].
Lungi dal dire che lo scopo doveva essere quello di abiurare la componente action [3], anche perché la chiusura circolare della storia, con quel cliffangher che diventa un reale salvataggio all’ultimo secondo (Bolt da supereroe diventa un semplice eroe), è a suo modo coerente. A mancare purtroppo è lo stupore, quell’ipotetica magia che il passo al di fuori dello schermo ci doveva garantire, invece di scorrere via senza lasciare traccia, se non con qualche parolina accomodante di La mia nuova vita (Lorena Brancucci), versione italiana di Barking at the moon (Jenny Lewis). Quando la semplicità diventa leggerezza (finalmente me ne sono liberato, della semplicità ovviamente).

[1] Il rimando al film è evidente nel dietro le quinte, dove il regista/Dio contempla con amore la propria invenzione. Oltre al cinema, la dimensione trappola di Bolt è il reality che, anche se sottointeso prende la sua parte. Le prestazioni del cagnolino infatti, dal momento che deve rimanere ignaro della sua non-identità, sono riprese in real time, sottolineate dall’enfatico montaggio televisivo con cui il regista si diletta. 

[2] Come già sottolineato in precedenza, buona parte delle gags iniziali di Bolt sono all’insegna dello sbattere contro qualcosa (so che è scontato, ma è un trastullo metacinematografico di una banalità troppo sconcertante nella sua ripetitività), nell’incapacità di fuoriuscire dal cinema. All’improvviso, dopo minuti e minuti d’inutile persuasione ad opera di Mittens, scappa su il fanatico teledipendente Rhino (anche qui, chiuso in una bolla e quindi intrappolato nei suoi mondi virtuali) e apre una gabbia nel quale Bolt era rinchiuso. Questo, notando di non essere stato lui a “distruggerla” con i suoi superpoteri, si illumina su tutto e se ne va sconsolato. Permettetemela: Bolt è proprio una testa dura

[3] La critica riguarda l’azione come puro e vuoto virtuosismo. La chiusa ironica con tanto di invasione aliena, ha un ché di linguaccia.

Arrivato nella stagione del film d’animazione più bello da molti anni a questa parte – ovviamente Wall-e, in realtà film splendido e basta, secondariamente anche d’animazione – Bolt ha rischiato seriamente di restare in ombra.
Si tratta invece di una pellicola che nasce da un’ispirazione autentica e non rientra in alcun modo né nei Disney “minori” (vedi Chicken little e Co.) né in quelli messi su in grande stile ma non particolarmente riusciti (vedi il Pixar Cars).
Forte di un soggetto solido, Bolt è un film estremamente curato nei dettagli e pieno di idee e trovate divertenti. Parimenti adeguato al pubblico infantile come a quello adulto, parte da un’azzeccata satira dei vizi hollywoodiani: dai baby attori con genitori imbelli al seguito ai micidiali agenti delle star (figura memorabile quella del mellifluo e cinico uomo post it) ed ai dilaganti cani eroi, dagli effetti del divismo al fanatismo esasperato di alcuni spettatori (l’impagabile criceto).
La sceneggiatura utilizza al meglio l’universo animale, anche come metafora di quello umano, si pensi al gatto mafioso che chiede il pizzo, ai piccioni aspiranti sceneggiatori (la cui brillante idea, con un piccolo colpo di genio, viene accolta nel finale), oltre al Truman-Bolt cresciuto nella stucchevole finzione televisiva come un supereroe pieno di responsabilità (da cui la riuscita gag del polistirolo-criptonite).
Ne risulta un film brillante ed intelligente, delicato e, nonostante la tradizionalità dei valori affermati, in molti punti di sferzante ironia.
Unico neo, le canzoncine.

Nel 2006, il geniale John Lasseter (testa e cuore dei Pixar Studios) è diventato direttore creativo anche dei Disney studios ormai in ribasso, tentando di migliorare opere già in produzione come I Robinson. Vedendo Bolt, si ha l’impressione che voglia distinguere le “mission” delle due case di produzione che serve, preservando la Disney in un universo più infantile e semplice. Quest’opera, infatti, è tanto simpatica quanto standard, incapace di osare, nonostante ne avesse avuta la possibilità quando il Chris Sanders di Lilo e Stitch (una delle ultime pellicole di culto della Disney), autore del soggetto, aveva espresso il desiderio di stare al timone di regia ispirando la figuratività ai dipinti di Edward Hopper: invece, fu estromesso per far posto a due esordienti (nel lungometraggio) più ordinari e rassicuranti (Howard è un animatore della Disney dai tempi di Pocahontas; Williams è uno story artist). Questo spunto “rubato” a The Truman Show poteva, almeno, sfruttare un arsenale slapstick dirompente con il cane convinto di avere superpoteri inesistenti (quanti equivoci, giochi fra realtà e finzione, gag irresistibili ci potevano essere!) ma finisce col rifare solo Torna a Casa, Lassie!, puntando sulla carineria del cucciolo (nemmeno tanto amabile, serioso e motivato qual è) e sull’on-the-road (non così inventivo) per riunirsi alla padroncina. Un approccio più “moderno” si cerca nella messinscena del serial alla 007 con gadget e Spectre, la morale alberga nella canzone (“Vivere la vita vera” ecc.), le trovate si spendono nella parabola del cane che deve diventare “super” anche senza poteri. In un quadro così “basic” c’è di memorabile, almeno, il grasso criceto pazzo Rhino che si muove dentro una palla e ha irresistibili risate isteriche da invasato. Uscito anche in 3D.