TRAMA
Philippe Abrams, direttore di un ufficio postale di Salon-de-Provence, colpevole di aver simulato un’invalidità permanente onde ottenere un trasferimento nel tanto agognato, ricco e caldo Midi francese, viene spedito nella fredda, inospitale e povera regione del Nord-Pas-de-Calais…
RECENSIONI
NB: la presente recensione ha per oggetto Bienvenue chez les Ch'tis, non Giù al nord. La visione del trailer italiano ha dissuaso il « critico » dal proposito di un'analisi comparata tra le due versioni e rafforzato la sua avversione nei confronti del doppiaggio, che sta all'arte come la violenza carnale all'amore. Il più grande successo della storia del cinema francese, che è riuscito a spodestare persino La grande Vadrouille dal podio, opera seconda del comico teatral-televisivo Dany Boon (visto nel fallimentare Pédale dure e nel successo internazionale Joyeux Noël), è una tradizionalissima commedia tipo e topologica in cui le situazioni comiche sono generate da un duplice spostamento, fisico (dal Sud al Nord) e percettivo/cognitivo. I giochi di parole e i fraintendimenti di senso (« Tchien » per « Tien », ovvero « Cane » per « Il tuo »...) nascono dalle differenze linguistiche o fonetiche tra il francese corretto e le « scorrettezze » degli Ch'tis (il « chuintement », ovvero l' « S » che diventa « Sc », tra le tante), mentre lo spaesamento percettivo/cognitivo è dovuto ad un'altrettanto canonica discrasia tra le rappresentazioni sociali comuni, tacitamente condivise (la forma mentis di Philippe prima dell'arrivo a Bergues) e la realtà vista e vissuta: il Nord povero e degradato, gli Ch'tis disoccupati o minatori beoni e aggressivi (i luoghi comuni, quello che si pensa) e la « realtà », una comunità accogliente e generosa (quello che si trova). Come sovente accade nelle commedie di Carattere « tipizzanti », nel racconto si raggiunge una sorta di compromesso in cui, al tempo stesso, si ratificano i contenuti del senso comune (è il grande Michel Galabru, in un memorabile cameo, ad elencarli con un pesantissimo accento meridionale) e si mettono in discussione certe categorizzazioni delegittimanti, per cui lo Ch'tis Antoine è sovente ubriaco a causa dell'eccessiva generosità degli abitanti del piccolo villaggio di Bergues: lo stereotipo viene confermato (l'ebrezza) ed insieme riqualificato, da negativo diviene positivo (il postino Antoine è un puro di cuore e non potrebbe mai ferire la sensibilità dei suoi compaesani rifiutando un bicchiere di Genièvre, dunque la sua ebrezza è ampiamente giustificata). Il processo di attualizzazione degli stereotipi nella tipizzazione cinematografica viene addirittura tematizzato: all'arrivo della moglie maniaco depressiva di Philippe, gli Ch'tis si « autotipizzano », al fine di dissuadere la donna dal proposito di restare e, insieme, rassicurarla. Infatti, nulla è più scioccante e destabilizzante della visione di una realtà che non corrisponde alle immagini mentali foraggiate dai saperi sociali. Bienvenue chez les Ch'tis, che certo non è un film di regia, funziona e ha funzionato, come in passato un Toto', Peppino e la Malafemmina o una Cage aux folles, giusto per limitarci ad esempi cinematografici, proprio in virtu' di questa capacità/abilità, apparentemente ossimorica, di rassicurare criticando, di confermare riqualificando, di suscitare un riso non di superiorità ma di accondiscendenza, simpatia, riconoscenza. Un riso che è come una stretta di mano.