Animazione, Commedia

KUNG FU PANDA

Titolo OriginaleKung Fu Panda
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Durata95'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La storia di PO, un panda imbranato che, da tuttofare nel chiosco di spaghetti del padre, diventerà un illuminato del kung fu: il grande maestro dragone…

RECENSIONI

Classico zuccherino by Dreamworks, Kung Fu Panda si ritaglia il proprio spazio con le più tipiche e collaudate convenzioni. Che sia la Cina, ancora debordante del clima mistico post-olimpiade (anche Jet Li si sta auto-riesumando per ostacolare lo pseudo “Indiana Jones” Brendan Fraser) o qualsivoglia contesto, questo spicchio dell’animazione si accontenta di reiterati meccanismi: divertimento (quasi) assicurato, rischio (sotto) zero.
Alla parodia esplicita che smorza il clima austero e epico dell’antica arte marziale, si affianca il quizzettistico gioco del riciclo. Anzi potremmo proprio subordinare al ribaltamento parodico le sottotracce citazionistiche; il processo di individuazione, infatti, si presta a smontare l’organismo in questione, rimandando ad altro, ad una bulimica memoria di immaginari rimescolati. (uno su tutti il trittico Guerre Stellari: Tai Lung è Dart Fener, Oogway Yoda e Shifu Obi Wan, per poi strizzare l’occhio a Scorsese – Taxi Driver - e Carpenter – Grosso guaio a Chinatown). Ulteriore tappa è la fanfara di gags, ipercinetica e subdolamente tappabuchi come sempre. Prendiamo una storia ove i punti cardine sono più o meno quattro: se nel svilupparla non si raggiunge la politica dell’ora e mezza, basta infilarci una vagonata di slapstick, tanto è tutto legittimato dalla goffaggine del protagonista principale, avatar di uno humor schizofrenico e macchiettistico.
Si passa così al pachidermico panda Po, ultimo beniamino di un “programma” di formazione propedeutico all’indottrinamento dei più piccoli. Sinteticamente: non bisogna accontentarci dell’ “ognuno ha il proprio posto nel mondo” , ma puntare all’ “oggi” , che “è un dono” (quindi carpe diem! ) perché, dal momento che il passato è passato ( “è storia” ) bisogna inseguire i nostri sogni, dapprima trasformando i vizi in punti di forza (la golosità) per superarli ( “non ho più fame!” ) con la passione e il segreto più segreto di tutti, la chiave del prescelto… beh, questo lo dovete IMMAGINARE voi!
La morale è così assicurata, atonica nell’aforisma di un gioco corretto che non aggiunge niente, ma si presta “umilmente” ad accontentare. In realtà è il ritmo a dominare, forte di una visione enfatica che, giocando con gli stilemi di genere, ora mostrandoli (i maestosi dolly di matrice epica-kolossal) ora esasperandoli (i continui rallenti nei combattimenti che declassano l’action in comico), rifugge la poesia, la libertà di un’immagine cartoon sempre più scannerizzata da altro e mai autosufficiente (stiamo ovviamente parlando del format Dreamworks).
Non è una caccia alla streghe, perché il divertimento – ahimé – c’è; forse bisognerebbe comprendere che l’ammaliamento non si basa unicamente sull’epilessia.