Poliziesco

LA NOTTE NON ASPETTA

Titolo OriginaleStreet Kings
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Durata109'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Tom Ludlow, accusato ingiustamente dell’omicidio di un suo collega, deve dimostrare la propria innocenza. Attraverso i meandri di un sistema marcio e corrotto, il poliziotto intraprenderà la ricerca di una verità che, in fin dei conti, è meno limpida di quel che sembra.

RECENSIONI

“Siamo della polizia, facciamo quello che vogliamo.
Non conta quello che è successo ma quello che scriviamo.”
“E non conta la verità?”
“E a chi importa?!”

La pistola che dà il buongiorno a Tom Ladlow piu che bagnarsi di feticismo, si presta ad essere una protesi del suo agire automatico, manifestazione di una violenza connaturata al suo ruolo “politico” di sicario della legge. Si apre così il classico ritratto ellroyano dell’eroe spaccato in due: alla crosta tipica del badboy (rigido, spietato verbalmente e fisicamente), si distingue una mente dominata dal senso di colpa che di rigetto si affoga nel deterioramento alcolico (si veda la quantità di vodka mignon ingerita). Ayer centrato in modo caustico il proprio hero, gli tesse attorno un reticolo di legami esterni con il quale interagire, emblema di un ordine di potere che intrappola in una scarna dialettica di falso/vero. Con uno stile schietto e a dir poco programmatico l’autore circonda il proprio personaggio in una routine di confronti dialogici, la cui ricerca di senso scivola in un confine di etica indecisione. Dare luce alle verità sulla morte del ex-collega Washington, diviene infatti, l’origine di un bivio nel quale l’umano e la sua deformazione professionale lottano alla ricerca di un’identità, sia interiore sia esteriore. Lo scopo è il disvelamento del meccanismo di potere e, seguendolo come motivo di redenzione, Tom si presta a (ri)scoprire sé stesso. Il percorso però è destinato ad intraprendere la scia di due realtà complementari: il poliziotto desideroso di riscatto deve necessariamente condividere la propria natura di pedina eterodiretta. Tom cerca un libero arbitrio, ma può raggiungerlo solo attraverso le regole di sangue e compromessi della sua specie. Figlio illegittimo che ad ogni caso deve essere figlio per vedere oltre gli stemmi di un’istituzione invasa dal denaro (guardate cosa cela la bandiera americana). In esso vengono così rievocati i tratti del tipico personaggio di James Ellroy che, per la prima volta, troviamo cimentarsi in un soggetto originale per il cinema. La notte non aspetta è determinato nella sua schiettezza che, in certi casi, si riduce ad una rigida essenzialità. Riflesso di questa che possiamo constatare nel leit-motive formale posto alla sua base. E’ tutta una progressione per blocchi identici: totale della metropoli o di una sua parte, immersione dentro di essa on the road e confronto faccia a faccia. Soprattutto sul terzo punto il nostro sguardo è marchiato da un uso di ferrea fisicità del campo/controcampo; sempre e solo campo/controcampo. Questa è sicuramente una scelta ad hoc, che intensifica ulteriormente la flemma schietta e mai sovraddosata della scrittura filmica, ma in un certo senso assume la piaga di un incatenamento della dynamis narrativa. Preciso: scelta piu che logica, ma di una correttezza intrinseca debilitante, in particolare nel disegno del protagonista la cui presenza, è stampata quasi per intero nel confronto e non nella psicologia. Insomma, Ayer traccia un’opera acerba e fin troppo definita: chi si accontenta gode/a.

Il substrato ideologico del soggetto di James Ellroy, risalente agli anni novanta, è di un cinismo agghiacciante: David Ayer, però, si pone poche domande e porta a termine il plot poliziesco all’insegna dell’azione, di cattivi da manuale, dinamiche convenzionali e violenza alla moda. Per quanto con venature più dark, ricompie l’errore del suo adattamento di un altro racconto di Ellroy in Indagini Sporche di Ron Shelton: non affonda i denti nel marciume. Fatta la tara anche di una risoluzione dell’indagine prevedibile sin dalla scena dell’esecuzione del poliziotto nel negozio di alimentari (il protagonista, invece, ci arriva solo alla fine), non resta che accontentarsi del peculiare ritratto non eroico di questo tutore della Legge che si fa giustizia da sé, come andava di moda negli anni settanta: è circondato, però, da personaggi molto più corrotti, mossi da interessi personali e non, come lui, dal desiderio di debellare una criminalità che il Sistema non riesce ad arginare. In mancanza d’altro, allo spettatore/essere umano non resta che affidarsi e identificarsi con la legge impura del giustiziere: ne sa qualcosa Ayer, cresciuto nella zona più povera e violenta di Los Angeles, il South Central.