TRAMA
Danimarca. Un corso di lingua italiana muta le esistenze di alcuni allievi…
RECENSIONI
Che cosa nasce da uno schema classico (la ronde di passioni e dubbi) svolto in chiave Dogma95 (macchina a mano sonoro in presa diretta luci naturali etc.)? Nient’altro che una commedia (moderatamente divertente).
Sei personaggi in cerca d’amore, in una Danimarca dai cieli e dai fabbricati bigi, alle prese con il linguaggio dell’eros, l’italiano, carnale (l’amplesso sulla cattedra, quello nell’alcova veneziana en plein air) e musicale (lo sgangherato pianoforte che accenna Puccini, in netto contrasto con la solennità contrappuntistica dell’inno sacro): nulla di sorprendente, tranne (in parte) il carattere funereo dell’azione (costellata di cadaveri benefici) e il conseguente tono tragico e ben poco comico dell’insieme.
La regista segue i personaggi con grande affetto, il caos solo apparente delle riprese garantisce una certa vivacità, ma la sceneggiatura è deludente sia nella definizione dei caratteri (tipi, non individui a tutto tondo), sia nello scioglimento di un intreccio peraltro ben congegnato, all’interno dei canoni del teatro occidentale (i fratelli divisi). Alla fine, le premesse anche forti e “sgradevoli” (la rilevanza conferita a temi quali l’eutanasia, le tare ereditarie, la memoria del passato) si sciolgono troppo in fretta nel caramello, in una Venezia (se possibile) più ruffiana del solito: il Dogma è (anche) un filmino vacanziero.
Qualche idea visiva (la “foto” sfocata e sovraesposta) e un manipolo di attori perfetti (nelle scene di conversazione italiana brilla l’aspra scioltezza di Lars Kaalund) sono i veri pregi di un’opera anche troppo garbata.
