TRAMA
Dopo un colpo da 35 milioni di dollari (in lingotti d’oro), uno dei ladri si sbarazza dei complici e si tiene tutto il malloppo. Un anno dopo, la rivincita dei sopravvissuti.
RECENSIONI
Vicenda imprevedibile, dialoghi scintillanti, interpretazioni eccellenti, regia elegante, movimenti di macchina mozzafiato, montaggio impeccabile: ecco quello che vedrete, sentirete, ammirerete se, prima di affrontare questo ITALIAN JOB, avrete avuto cura d’ingurgitare una dose opportuna di vodka al cedro spruzzata di LSD di prima scelta. In caso di sfacciata e intempestiva sobrietà, preparatevi a un sonnellino ristoratore (se le poltroncine sono abbastanza comode). Un heist movie in cui le rapine valgono zero (e infatti vengono liquidate quasi con fastidio attraverso il solito cocktail di esplosioni rintronanti, iperboliche acrobazie automobilistiche e sudori congelati da cassaforte) e la parte del leone spetta ai buoni, anzi agli ottimi sentimenti, amore filiale e spirito di corpo in testa. Il COLPO ALL’ITALIANA [film britannico del 1969, di cui questo è il remake (solo nel titolo e in qualche elemento del plot)] in Laguna è il fulmineo (e per nulla fulminante) punto di partenza di due vendette, quella dell’eterno numero due (un Norton grottescamente mefistofelico) ai danni del Maestro ladro (Sutherland, che probabilmente ha accettato il ruolo – come celia il suo personaggio – unicamente per farsi una micro-vacanza spesata a Venezia) e dell’allievo prediletto (un Wahlberg più impacciato del consueto) e quella del gruppo [figlia del Maestro (una Theron casta e pura fino al ridicolo e oltre) compresa] nei confronti del traditore. Un frullato dei peggiori stereotipi di circostanza (hacker giocherelloni, autisti spericolati, mafiosi da operetta, melliflui ricettatori e freak assortiti), “rinforzato” da dosi di umorismo da due soldi (battute puerili su Hollywood, flashback a tendina che non stonerebbero nel prequel di SCEMO & + SCEMO) e privo di qualsiasi concessione all’(auto)ironia, al sarcasmo totale, alla velenosa leggerezza, alla sovrana ambiguità, insomma ai pilastri del cinema di rapina, poco importa se antico o nuovo, classico o contaminato (vedi WILD THINGS). Dopo un prologo che ha almeno il pregio della secchezza, il film si perde nel placido lago della formuletta disgustosamente precotta (ritorno dei buoni – reclutamento di nuovi alleati – esplorazione del territorio nemico – primo colpo, fallito – confronto con l’antagonista – secondo colpo, riuscito – trionfo degli eroi) e la regia illustra con tutta la piattezza del caso il traballante script (traballante non tanto per le abbondanti incongruenze e gli spericolati vuoti di verosimiglianza, quanto per l’infinita tediosità e i bamboleggianti psicologismi di cui è intriso), si lascia sfuggire con malcelato sollievo le occasioni in cui sarebbe possibile variare un po’ il giochino (la scena dell’uccisione dell’ucraino, risolta con una scialba alternanza di riprese “dal vivo” e immagini rubate alle telecamere a circuito chiuso, mentre sarebbe stata molto più elegante ed efficace una ri/composizione dei differenti sguardi elettronici) e cerca disperatamente di creare schegge di tensione a colpi di trionfalistici squilli di Dolby. Finale d’immensa, cartolinesca idiozia. Il crimine così (pre)confezionato potrà anche pagare, ma perde ogni fascino.