TRAMA
Il terrore corre sul Web: un misterioso sito mostra immagini di solitudine e disperazione, chi le vede comincia a comportarsi in modo strano…
RECENSIONI
Kiyoshi Kurosawa, insieme a Shinya Tsukamoto e Miike Takashi, si può considerare uno degli artisti più rappresentativi della cosiddetta "new-wave" giapponese, la nuova ondata di registi indipendenti che attraverso un punto di vista personale e spesso ardito ha ridefinito le regole del genere "horror". Rispetto ai colleghi, Kurosawa è meno famoso, sia in patria che all'estero, ma ha all'attivo una ventina di titoli che, grazie alla febbrile produzione e alla presentazione a festival importanti (tra gli altri Cannes, Venezia, Berlino e Locarno) lo hanno circondato di un'aura di culto. Il suo approccio viene definito "filosofico" o "esistenzialista" e l'interessante "Kairo" ne è la conferma. Partendo infatti da un assunto simile a "Zombi" di Romero ("quando all'inferno non ci sarà più posto i morti cammineranno sulla terra"), il regista nipponico costruisce una riflessione sulla morte che evita l'effettaccio per puntare sull'angoscia del quotidiano. Niente mostri, castelli, squartamenti, nessuno stereotipo da cavalcare o a cui ispirarsi, ma un'ambientazione contemporanea in cui il panico deriva da situazioni comuni e all'apparenza innocue (una connessione ad Internet, una chiacchierata all'università, la visita ad un amico). Al centro del film la paura atavica della solitudine. Lo scopo delle presenze ectoplasmiche che invadono il racconto non è infatti uccidere i vivi, ma porre fine a un isolamento forzato che nemmeno la morte è in grado di sanare. La critica indiretta ai mezzi di comunicazione e a una tecnologia disumana appare un po' consunta, la grevità dell'atmosfera non evita forzature, così come non si distingue per ingegnosità l'idea di Internet come tramite tra dimensioni parallele, ma la forza di Kurosawa è nella compattezza della sua visione. L'aspetto che più colpisce nella messa in scena è l'assenza di un crescendo nella tensione. L'inquietudine permea infatti l'intera pellicola ed esplode, inaspettata, nelle sequenze in cui i fantasmi fanno le loro sconvolgenti apparizioni. La paura nasce da piccole deformazioni della realtà con rallentamenti, contorsioni e accelerazioni. La perdita delle certezze, potenziata dall'efficacia del sonoro (molti i rumori, distorti e amplificati per disturbare la percezione del reale), determina uno spaesamento a stretto confine con il terrore. Particolarmente curata la composizione di ogni inquadratura, con il frequente occultamento dei personaggi attraverso l'inserimento di piani (video, pareti, porte) a rendere tangibile la distanza tra il visibile e l'ignoto. Se la regia è potente e visionaria, una sceneggiatura meno frammentata e interpreti meno incolori avrebbero migliorato la fruibilità del film che, permeato da una cripticità in netta contraddizione con la critica all'assenza di comunicazione, rischia di perdere per strada qualche spettatore, colpevole solo di essere educato più al racconto che all'immagine tout-court.
Il tema principale del film sembra essere: la solitudine nell’epoca di Internet. La Grande Rete ci connette, la Grande Rete ci sconnette, ci illudiamo che il Web avvicini tra loro le persone ma in realtà “siamo tutti isolati l’uno dall’altro” [cit.]. Questa roba da fu Maurizio Costanzo Show è quanto Kairo dichiara esplicitamente di trattare, almeno nella sua prima mezz’ora. Poi confonde le acque e ci guadagna decisamente, fa intuire che forse lo spunto iniziale è solo un pretesto e che nella sceneggiatura c’è qualcosa di più (o di diverso) estendendo tale solitudine cosmica all’aldilà, raccontando l’incontro delle due solitudini e intessendo una trama che fa della complessità e dell’ambiguità interpretativa dei (preterintenzionali?) motivi di fascino. Davvero difficile, infatti, mettere al loro univoco posto tutte le tessere del mosaico di Kurosawa: cosa accade dopo l’incontro tra uomini e fantasmi? Perché alcuni si uccidono e altri diventano improvvisamente ombre? I fantasmi sono eterei o tangibili? Vogliono rendere gli uomini immortali o li vogliono morti? Quale funzione svolgono, precisamente, le “stanze proibite” sigillate col nastro rosso? Questi sono solo alcuni degli snodi narrativi polisemici o semplicemente irrisolti della pellicola. E siccome il Mistero è comunque preferibile all’Ovvio paventato inizialmente, anche i disincantati figli di Lyotard si sentiranno liberi di godersi quel che di meglio Kairo ha da offrire, ossia, una regia ricca (a tratti) di artigianale inventiva. Se infatti Kurosawa bazzica con competenza molti loci della New(?) Wave of Oriental Horror (generica “eleganza” visiva, tempi morti, manipolazioni velocistiche del susseguirsi dei fotogrammi) è altrettanto vero che confeziona momenti memorabili [il volo suicida della ragazza in (profondità di) campo lungo, l’aereo rétro in fiamme che si schianta sulla città] e che sa costruire sequenze di suspense in qualche modo originali, giocate sull’utilizzo del piano sequenza fisso all’interno del quale è un profilmico non effettato a dar vita alle varie “presenze”, sfruttando zone d’ombra, oscurità e punti ciechi del quadro. Repentina ma tutto sommato riuscita la virata finale al catastrofico/apocalittico, ultimo rimescolamento delle carte in tavola prima dei titoli di coda.