Drammatico, Recensione, Storico

THE LAST DUEL

Titolo OriginaleThe Last Duel
NazioneU.S.A., U.K.
Anno Produzione2021
Durata152'
Trattodall'omonimo romanzo di Eric Jager
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Francia. XIV secolo. Dopo essere tornato dalla guerra, il cavaliere Jean de Carrouges scopre che sua moglie Margueriteè stata violentata dallo scudiero e amico Jacques Le Gris. Marguerite decide coraggiosamente di portare a processo Jacques e denunciare quanto accaduto, ma non viene creduta in quanto donna. Il marito, per difendere l’onore della moglie, decide di ricorrere al codice cavalleresco e sfidare a duello Jacques, affidando alla volontà divina la sorte della contesa.

RECENSIONI

Una rilettura dell’oscurantismo medievale (siamo nella Francia del XIV secolo) aggiornata a una sensibilità contemporanea, attraverso un racconto che si concentra sul passato e le sue dinamiche brutali per parlare al presente. È fondamentalmente questa l’anima del film scritto da Nicole Holofcener, chiamata per dare un punto di vista femminile alla protagonista, insieme a Ben Affleck e Matt Damon, nuovamente in tandem a 23 anni dall’Oscar per la sceneggiatura di Will Hunting - Genio ribelle. L’origine è letteraria, l’omonimo romanzo di Eric Jager che traspone una storia vera e sviluppa le consuete variabili di tradimento, vendetta e orgoglio ferito triplicando il punto di vista di chi ne è coinvolto: due scudieri, caratterialmente e fisicamente agli antipodi, all’inizio amici, poi rivali, e una donna. Lei, sposata a uno dei due, viene stuprata dall’altro, ma non subisce in silenzio e chiede giustizia. L’esito della disputa sarà affidato al volere di Dio per mezzo di un duello mortale, l’ultimo storicamente documentato in Francia come legalmente autorizzato. In gioco c’è la vita di chi vi partecipa, in ballo la capacità di una donna di ribellarsi a un destino che la vorrebbe proprietà dell’uomo e quindi silente e sottomessa. L’esplicitazione dei contenuti avviene mostrando tre volte gli stessi fatti dai tre differenti punti di vista di chi ne è coinvolto.

Non ci sono differenze abissali tra le varie versioni, nessun dettaglio risolutivo per avvalorare una tesi (comunque evidente ma non schiacciante), nessuna retorica facile, a dominare sono le sfumature, esaltate da una regia incisiva che sa dove porre lo sguardo e da un montaggio, calibratissimo, che insinua il dubbio senza spiegare dove. Non esiste un’unica verità, l’oggettività è solo un’illusione, le contraddizioni sono più che lecite, ciò che conta è il percepito. E il percepito, ora come allora, è figlio dei tempi che si vivono e dei valori e della cultura assimilati. Il lavoro di cesello della scrittura è supportato dalla regia vigorosa di Ridley Scott che dimostra ancora una volta di trovarsi a suo agio con i racconti epici, ma anche in grado di mettere da parte la grandeur quando è la dimensione intima a cui vuole dare risalto. Il duello finale è comunque quanto di più viscerale, potente e spettacolare il cinema contemporaneo possa offrire, una vera gioia per gli occhi capace di farci tornare bambini davanti a uno spettacolo davvero bigger than life. Di grande resa ed efficacia tutto il comparto tecnico, con una lode speciale alla fotografia plumbea del fido Dariusz Wolski. Interpreti convinti e convincenti nel supportare i caratteri che sono chiamati a incarnare. Ben Affleck si ritaglia il ruolo sui generis del conte vezzoso e vizioso e lo fa con apprezzabile misura. Un’opera figlia dei tempi, in cui la mascolinità tossica e la messa in discussione dei ruoli sociali sono materia incendiaria di confronto, in grado di contribuire al dibattito senza impartire lezioni ma utilizzando il cinema per intrattenere e indurre alla riflessione.