TRAMA
Allevato sin da piccolo da un monaco in un monastero circondato dall’acqua, s’innamora di una ragazza e fugge.
RECENSIONI
"Questo film non parla di buddismo, o più ampiamente di religione, parla della vita prendendo in prestito alcuni elementi della religione buddista.
Kim Ki-duk
Kim Ki-Duk, punta di diamante di un cinema, quello coreano, che sta conquistando platee in tutto il mondo, e, soprattutto, uno dei cineasti più interessanti in circolazione, con questo PRIMAVERA… sembra firmare un lavoro meno estremo del solito. In realtà, dietro lo schermo di una rappresentazione lirica delle stagioni - della natura e della vita - che può sembrare, inizialmente, una concessione dell’autore a una certa maniera, un facile annegare nella prevedibile deriva estetizzante, si cela un apologo solo in apparenza conciliato, rivelandosi piuttosto una sconsolata considerazione sulla condizione umana; in esso il regista opera trasversalmente su un modello rassicurante, quello abusato della narrazione circolare, ma per innestarvi alcuni dei suoi temi prediletti e le inquietudini tipiche del suo cinema, non mancando all’appello anche il leit motiv della violenza che, se non si manifesta con la solita veemenza ed è del tutto sublimato, d’altra parte permea di sé l’intero narrato. Il discepolo da bambino imparerà a separare l’erba buona dalla cattiva ma solo da adulto comprenderà quanto sia difficile distinguere il Bene dal Male e non riuscirà a schivare la trappola degli errori, ché la vita vissuta nel mondo ne porta con sé inevitabilmente. Mentre le stagioni si avvicendano il discepolo cambia (e cambia anche l’attore che lo interpreta – il capitolo invernale è interpretato dal regista in persona -) e impara a sua spese che per togliere certi pesi dal cuore occorre dedizione, sacrificio, rassegnazione. Il film apre (letteralmente) le sue porte sul suo piccolo mondo galleggiante e narra circolarmente una storia di innocenza e crudeltà, disciplina e redenzione spirituale sul tormentato limine che separa l’ascesi dalla mondanità, l’asettica indifferenza nei confronti dell’umano tribolare e il desiderio di sporcarsene le dita e lo fa in cinque capitoli magnifici, ciascuno marchiato da un evento cardine che segna una tappa esistenziale precisa, da elementi più o meno simbolici (cinque diversi animali: un cane, un gallo, un gatto, un serpente e infine una tartaruga trovano ospitalità nel ritiro) e dai diversi colori della natura, magnifica cornice di un film che sa non compiacersene troppo, funzionalizzandola splendidamente al dipanarsi tramico. PRIMAVERA… incanta per la nitidezza di stile, per la precisione e il rigore, per la stilizzata armonia che fa regnare tra una forma e una sostanza che reggono un teorema esistenziale che ci ricorda mestamente come la vita, allo stesso modo delle stagioni, non sa far altro che ricominciare.

Chiare e raggelanti, immobili e predatrici, sempre cangianti e inevitabilmente identiche a se stesse: le acque del lago riflettono il film che Kim Ki-Duk cesella nel chiuso cerchio di un'oasi solo in apparenza separata dal mondo e dalle sue inguaribili, funeste passioni. L'eremo è il laboratorio in cui la coppia monaco-allievo (nelle sue differenti maschere temporali) sperimenta in primo luogo su se stessa il crudele gioco (/giogo) di un desiderio fatalmente inappagato, senza ricavarne antidoti miracolosi ma distillando con cerimoniale gravità il solo farmaco possibile, l'impassibile, bruciante espiazione. La distanza dal 'secolo' è un'aspirazione perennemente frustrata: lo stesso Maestro si abbandona al falò delle vanità per risanare la ferita del proprio amore paterno. Come in una tragedia attica, si mostrano il sorgere delle pulsioni e il loro dileguarsi nella nebbia del tempo: il sangue che per primo bagna la lama è osceno (alla lettera) e tutto sommato poco interessante, come l'identità della donna che trova ciclico, eterno rifugio nell'eremo, mutandosi in un sopraelevato idolo custode e (forse) nella tartaruga tormentata da un bambino cieco che dovrà vivere, uccidere, umiliarsi per (ri)conquistare la vista e diventare un uomo. La maestria del regista è evidente, e non da oggi, ma, rispetto a opere come L'ISOLA e ADDRESS UNKNOWN, PRIMAVERA... s'impone per la mancanza di isterismi melò (il commento musicale, non sempre felice in questo senso, è a malapena un rumore di fondo), l'economia espressiva (la forza e la densità delle immagini rendono del tutto inutili i dialoghi, peraltro afflitti da un doppiaggio italiano di sapore amatoriale), l'umorismo venato di grottesco che s'insinua con felpata decisione nella trama figurativa (la rete di allusioni costruita attorno al gallo, simbolo di esuberanza amatoria e felicità matrimoniale). Corea da esportazione, per alcuni. Magari.
