Drammatico, Fantastico, Storico

CAPTAIN VOLKONOGOV ESCAPED

Titolo OriginaleKapitan Volkogonov bežal
NazioneRussia, Estonia, Francia
Anno Produzione2021
Durata126'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Il capitano del servizio di sicurezza nazionale Fedor Volkonogov è apprezzato dal suo comandante e dai colleghi. La sua esistenza subisce però una brusca svolta quando viene accusato di un crimine e, in una frazione di secondo, diventa preda dei suoi stessi ex colleghi. In fuga, durante la notte riceve un avvertimento dall’aldilà: sebbene sia destinato all’inferno, ha ancora una possibilità di cambiare il suo destino ed essere accettato in paradiso, a patto che si penta e almeno una persona gli conceda un perdono sincero.

RECENSIONI

A tre anni da The Man Who Surprised Everyone, premio per la miglior interpretazione femminile a Orizzonti 2018, la coppia di registi russi Natasha Merkulova e Aleksey Chupov torna al Lido, questa volta innalzata agli onori del concorso principale. L’occasione è Captain Volkonogov Escaped, intrigante incursione in un innominabile territorio di mezzo che mescola il romanzo storico postmoderno, la favola nera con elementi visionari, l’action d’autore, il videogame allucinato. E se il risultato non sempre è del tutto risolto (la potenza dell’incipit va scemando nelle eccessive ripetizioni della seconda parte), l’operazione ha l’originalità e l’impudenza delle grandi imprese: lo sguardo pungente del duo registico non può passare inosservato. Il film inizia con una scena potente e surreale. L’enorme salone di un palazzo aristocratico ospita una rete da pallavolo che lo divide a metà. Da entrambi i lati dello spazio diviso, membri della polizia segreta giocano con la palla vestendo abiti di fantasia anacronistica, stranianti rosso scarlatto: movimento, azione, testosterone, complicità maschile, potere. La palla finisce per incastrarsi sul grande lampadario di cristallo che domina la stanza. Siamo in un passato sospeso, datato 1938, ma in un qualche modo indefinito, sovietico, staliniano senza nominarlo, teatro di quelle purghe che hanno portato all’eliminazione sommaria di migliaia di supposti nemici dello Stato. E teatro potrebbe essere una parola chiava, tanto è smaccatamente scenografica la modalità di rappresentazione con cui questo spaccato dell’URSS viene ricostruito, rigettando il dato del realismo storico in favore di un'enfasi volutamente, marcatamente fittizia. Quasi come a dire che la linea che ci separa dal vero storico è già compromessa in partenza se il nodo rievocativo del film sono quelle false testimonianze estorte con l’intimidazione a cittadini spesso innocenti, ipotetici futuri traditori della patria, in un gesto estremo di prevenzione totalitaria. È partendo dalla prospettiva di questo nucleo deviato che va inteso il delirio ipercinetico di un film che spazia senza remore dal noir al grottesco, Dostoevskij e Gogol, in una rincorsa a cerchi concentrici in cui tutti diventano prima o poi prede in una confusione crescente fra guardie e ladri. E se la citazione bressoniana del titolo è evidente, i condannati a morte sono tutti, tutto uno Stato e la sua prospettiva di violenza aberrante, e non solo il Capitano Volkonogov in fuga, interpretato con ambiguità luciferina dal bravo Yuriy Borisov.

La sfacciataggine di Merkulova e Chupov non è senza prezzo però, anzi ci pone (si pone) una domanda fondamentalmente etica: questo approccio sulla via dell’eccesso (chiamiamolo pure postmoderno) rende giustizia e rispetta una pagina così drammatica della Storia del Novecento? I registi la reinterpretano infatti con la giocosità tenebrosa di un videogioco folle, ma non per questo ne ignorano o ne ridicolizzano il peso tragico. Compiono piuttosto una traslazione di prospettiva: distolgono gli occhi dalla Storia come questione realista per concentrarsi sulla Storia come fatto umano e morale, e non necessariamente nella sua accezione positiva. Braccato dagli ex compagni di scorribande della polizia segreta, Volkonogov riceve da un vecchio amico deceduto un messaggio dall’aldilà: potrà salvarsi dalle pene dell’inferno se ottiene il perdono sincero da parte di anche uno solo dei famigliari delle tante vittime sacrificali che nel corso della sua carriera ha contribuito a perseguitare, torturare ed eliminare. L’umanità ritrovata di Volkonogov è dunque prettamente egoistica e priva di empatia: la richiesta di perdono è per il proprio tornaconto personale, la disperata ricerca di redenzione è dettata dalla paura, l’ascensione mistica al paradiso è una questione di opportunità. Esiste un paradiso per i torturatori, fossero anche non redenti? Captain Volkonogov trasuda la gravità del proprio animo russo, oscuro e disperato, spietato e senza grazia.