Recensione, Storico

PONTORMO

TRAMA

Firenze 1555. Jacopo Carrucci da Pontormo, alle dipendenze del granduca Cosimo I dei Medici, sta affrescando il Coro di San Lorenzo; ma l’Inquisizione è in agguato…

RECENSIONI

All’inizio si pensa che PONTORMO sia il solito biopic sulla vita sofferta dell’artista, le sue inquietudini e le sue scopate: dopo lo si spera soltanto. E’ invece una tediosissima lezione di Storia, forse meticolosa ma non per questo pertinente, di quelle che a forza di prendere appunti ti provocano un crampo alla mano; i personaggi, innocui sonnambuli impegnati a delineare l’ambiente in cui si muovono, dissertano volgarmente sulla politica di questo/quel pontefice, la situazione economica dell’Italia formato Cinquecento, quant’è cattiva l’Inquisizione e blablabla. Tutto questo attraverso gli espedienti più triti, dal malcelato spirito didattico dei dialoghi tête-à-tête fino alla classica cena come luogo di ritrovo collettivo (la perla: in una di queste, Pontormo costruisce una scultura di pane. Poi se la divora. Ha dunque dimostrato di essere un Maestro...). In ordine sparso: metafore evidenti (una crepa nel mura e nell’anima, ma dai), apparizioni sulfuree (degne del Ghostbuster più scafato) ed una pacchianissima colonna sonora su misura di otorino. Se alcune idee di partenza, pur scontando un pesantissimo deja-vù, lanciano vagamente l’amo della riflessione (l’idea di Pontormo dell’arte per l’arte, ma anche il suo sogno di osmosi con la divinità attraverso l’opra) la sceneggiatura fa minuziosamente a pezzi ogni umana figura, riducendola a grillo parlante di sé stessa, come macchietta della macchietta di un film storico. Un esempio di Europa ereticamente unita: lo scambio di carezze tra il fiorentino del titolo e la lavoratrice luterana Anna, che perlomeno si uniranno nelle lenzuola soltanto fuori campo. Gli scampoli guardabili si riducono a risvolti episodici, che ora indugiano sul particolare macabro o poggiano sulla paura collettiva (la psicosi della peste, la caccia alle streghe). Giovanni Fago si affanna su una regia scandalosamente televisiva per infondere consistenza alla confezione, riuscendo a cavare dal buco soltanto una vaga vertigine da repertorio; Joe Mantegna è tutta un’unica smorfia decadente. Risultato: quando Pontormo si presenta davanti ad un torvo inquisitore, proprio non riusciamo a fare il tifo per lui. Si salverà nostro malgrado, dato che per il suo rogo avremmo volentieri sfoderato il miglior accendisigari. Oltre un’ora e mezza di buco in cui gli studenti esulteranno per l’assenza del professore; tutti gli altri invece....