TRAMA
Due bimbi fanno di tutto per entrare nel carcere dove è rinchiusa la madre: ma rubare non basta
RECENSIONI
E’ ufficiale, e a dirlo è uno che ama(va) questo cinema: la nuova onda iraniana è definitivamente approdata in battigia. Procacciatori di disgrazie e di miserie, la famiglia Makmalbaf, dopo aver fatto tappa a Kandahar ed aver discutibilmente “poetizzato” protesi di plastica cadenti dal cielo (nel tremendo Viaggio a Kandahar) rimangono in Afghanistan (a breve probabilmente partiranno per l’Irak) e seguono le tristi avventure di nuovi derelitti: un bimbo, una bimba, un tenero animaletto scampato al fuoco nemico. Come se non bastasse, accanto alla ricattatoria mostrazione del dolore dipinto nei volti autenticamente feriti dei giovani protagonisti, omaggiano un cinema ben diverso, atteggiandosi a neoneorealisti dall’anima candida e dallo sguardo asciutto e non compiaciuto (i due fratelli “imparano” a rubare biciclette andando a vedere, su consiglio di un ragazzino che probabilmente, nella realtà, non ha mai messo piede in un cinema, il nostro Ladri di biciclette). Più che un pedinamento, quello della regista è un abile e trito modus operandi volto a far scendere la lacrimuccia e ad impietosire il pubblico occidentale, operazione cinematograficamente irrilevante e moralmente condannabile. Anche accantonando cotante riserve, il film non ci regala nulla nemmeno dal punto di vista visivo e non possiede uno stile coerente ed uniforme: la regista sembra indecisa se cogliere la realtà in campo lungo o adagiarsi su uno stile piattamente televisivo, fatto di primi piani carezzevoli e compiacenti. E non ne possiamo più di metafore canine!
Con "Osama" Siddik Barmak ci ha fatto vedere l'orrore della vita sotto la dittatura talebana. Con "Piccoli ladri" la giovane iraniana Marziyeh Mashkini, seconda moglie di Mohsen della potente dinastia di cineasti della famiglia Makhmalbaf, torna a Kabul dopo che il regime talebano e' caduto e la guerra e' finita. Cio' che mostra e' il diverso orrore in cui vive la popolazione. Come molti film a tesi e di denuncia, ha piu' valore per l'urgenza del contenuto che per la forma, ma perlomeno esce dal cliche' del cinema iraniano che predilige gratuiti estetismi con valenza poetica, simbolismi e tempi piu' che dilatati. I protagonisti sono due bambini, un fratello e una sorella, con il padre in carcere e la madre fatta arrestare dal padre come adultera perche', al ritorno dalla guerra dopo cinque lunghi anni, l'ha trovata sposata a un altro uomo, poi per altro deceduto. I bambini vivono in uno stato di completo abbandono: per un po' riescono a farsi accogliere alla sera nella cella della madre, ma quando cambia il regolamento sono costretti a stare in mezzo alla strada e ad arrangiarsi come possono, senza incontrare troppa solidarieta'. Nonostante il dramma costante e l'epilogo senza speranza, il film e' triste ma non greve e ha il merito di porre l'accento su una realta' che, dopo essere stata per mesi al centro dell'attenzione dei media, non sembra interessare piu' nessuno. Non manca l'ennesimo parallelismo con il neorealismo italiano, evocato dalle immagini in bianco e nero di "Ladri di biciclette", ma perlomeno la citazione gode di una ventata di ironia. Ovviamente sceneggiatura e dialoghi soffrono degli intenti dottrinali e annacquano l'efficacia del racconto, confezionato con furbizia a partire dalla ricattatoria scelta dei due bellissimi bambini protagonisti.