TRAMA
Un uomo fascinoso e malconcio arriva in una piccola città in tarda serata. Alla ricerca di un po’ di sollievo per il suo mal di testa, s’imbatte in un professore di Francese in pensione. I due, apparentemente agli antipodi, iniziano un’amicizia che li porterà, dopo tre giorni, a desiderare di aver vissuto una vita diversa…
RECENSIONI
Autore discontinuo e a volte un po’ inconsistente, Leconte si conferma un grande maestro nella commedia dai toni lievi ed esilaranti. I suoi personaggi, coscientemente sempre sul filo dello stereotipo, sono dei brillanti conversatori, dei laconici umoristi, dei filosofi dell’assurdo, insomma, degli affascinanti paradossi. Ecco che la faccia lunga e un po’ triste di Jean Rochefort fa da contrappunto a quella granitica e manieristica di Johnny Hallyday; ecco che la fanciullesca freschezza del vecchio verboso e abitudinario si confrontano, mescolandosi, alla calma nervosa e disincantata dell’avventuriero; ecco il cocktail sweet-n-sour, che si snoda attraverso situazioni brillanti e confronti retti soprattutto dai dialoghi di taglio teatrale e dall’irresistibile confronto delle due personalità, sullo schermo e fuori da esso. Il film perde un po’ di tono nell’ultimo quarto, quando la mano di Leconte si fa un po’ più pesante sulla vicenda e la dirige più forzatamente verso il nucleo tematico del film, il rimpianto. I due uomini sono infatti modello l’uno per l’altro, anti-poli di attrazione; e l’ultimo soffio di vita nei loro corpi compie il miracolo dello scambio, l’opportunità per entrambi di ricominciare prendendo in prestito la vita dell’altro, le sue abitudini, le sue manie o viceversa l’assenza di regole e di restrizioni. L’avventuriero e il professore, la strada e la poesia, il circo e la scuola. Due modi non solo di vivere, ma di essere, di esistere: attraverso il grugno rock-n-roll di Hallyday, o il sorriso beffardo (“Ve l’ho fatta un’altra volta”) di uno splendido Rochefort.
Leconte è davvero un cineasta originale, autore di film molto differenti e di esito discontinuo che diventa difficile radunare in un corpus etichettabile. Dopo l'ultima deludente prova (la deriva estetizzante di RUE DE PLAISIRS) è comunque confortante ritrovarlo meno vacuo e più attento allo script in questo L'HOMME DU TRAIN. Il film si pregia di una prima parte più convincente e davvero divertente in cui i deliziosi dialoghi e la perfetta alchimia tra i due attori (Rochefort, sornione da premio, e un ombroso Hallyday) danno i frutti più succosi. Poi il gioco degli specchi, che è il perno su cui ruota il film (i due protagonisti, il vecchio professore in pensione e il ladro professionista, entrambi giunti a un momento esistenziale decisivo, sono il rovescio di una stessa medaglia: ognuno sogna per sé la vita dell'altro e ciascuno comincia, anche somaticamente ad assumerne le fattezze), diventa più prevedibile e anche il film scoppietta di meno virando, in modo più convenzionale, su un registro amarognolo che consente però di chiudere coerentemente il teorema osmotico.
Un uomo misterioso arriva in un piccolo paese della Francia, incontra casualmente in una farmacia un professore ormai in pensione e si stabilisce da lui. Entrambi attendono la fine della settimana per un appuntamento importante e decisivo. Patrice Leconte mette in scena, seguendo un itinerario molto classico, l'incontro di due personalità contrapposte che si rivoluzioneranno a vicenda. E per rendere credibile la progressiva contaminazione dei protagonisti, gioca sul carisma di due miti francesi: Jean Rochefort, suo attore feticcio, e Johnny Hallyday, star della musica. L'eleganza formale, la sperimentazione tecnica (girato in digitale e poi riversato) e la leggerezza del racconto, però, non riescono a coprire l'artificiosità del rapporto che si instaura tra i due protagonisti: in pochi giorni apprendono l'uno dall'altro cose che in decine di anni non sono mai riusciti nemmeno a mettere a fuoco. Alcune gag funzionano e divertono (il rapinatore saggio che pronuncia un'unica frase al giorno, la cantilena della fornaia), ma i dialoghi propongono continui botta e risposta per nulla spontanei e forzatamente illuminanti. Il personaggio di Manesquier, interpretato da uno scatenato Jean Rochefort, è il tipico vecchio inacidito dai rimpianti, che parla sempre piangendosi addosso (ma soprattutto sempre), di quelli che se li incontri in autobus ti metti a invocare aiuto al finestrino. Invece viene spacciato per simpatico e arzillo. Molto più sincero il Sordi di "Incontri Proibiti": film non riuscito, ma con uno sguardo sulla vecchiaia assai più critico e non per questo meno simpatico. L'alter-ego di Manesquier, il taciturno Milan cui presta la sua maschera vissuta Johnny Hallyday, si rivela invece l'ormai becero duro dal cuore d'oro, che vive di stenti ma non disdegna la poesia. Su tutto un'aria mortifera che trova nel finale patetico adeguata glorificazione.