Drammatico, Thriller

LA VOLTAPAGINE

Titolo OriginaleLa Tourneuse de Pages
NazioneFrancia
Anno Produzione2006
Durata85'
Scenografia

TRAMA

Mélanie bambina viene bocciata a un esame di pianoforte, non entrerà in conservatorio. Dopo anni è pronta a vendicarsi di chi le ha negato quella possibilità.

RECENSIONI

Esercizio chabroliano di crudeltà: la giovane Mélanie penetra come un veleno nel’esistenza di un’agiata famiglia borghese e ne distrugge l’equilibrio consumando una vendetta per un episodio lontano (Delitto allo specchio di Agatha Christie?), concentrando i suoi sforzi sul piano familiare (l’innamoramento di Ariane, il tentativo di danneggiare la promettente vocazione pianistica del figlio di lei) e su quello lavorativo (la distruzione della di lei carriera). Dercourt descrive con convenzionale austerità il personaggio di questa ragazza di ghiaccio, figlia di macellai (il film comincia proprio con la sequenza del taglio della carne, preludio al successivo “fare a pezzi” del tranquillo menage dei Fouchécourt), votata alla rivincita personale, sostenuta dal tormento per il suo sogno infranto. L’autore riesce soprattutto nella descrizione della crescente ambiguità che viene a caratterizzare il legame della giovane con Ariane (amore, odio, ammirazione, invidia), ha il merito di concentrare la suspense in poche ma dense sequenze (l’esecuzione di un brano musicale diviene momento di tensione tangibile), dilatando i tempi, puntando sull’accenno e non eccedendo mai in spiegazioni (l’incidente della moglie di qualche mese prima è un segmento del piano di vendetta?) ma non riesce mai a dare piena sostanza al suo dramma. Un film non all’altezza del modello di riferimento, ma i cui difetti (messinscena un po’ piatta, dialoghi scricchiolanti a tratti, alcuni passaggi decisamente poco elaborati) e il finale precipitoso non ci fanno dimenticare le prove delle due protagoniste, la giovane Déborah François e soprattutto la magnifica Catherine Frot che restituisce con ricchezza di sfumature la fragilità di Ariane.

Lui stesso violoncellista e maestro di Conservatorio, Dercourt costruisce un thriller (alla Chabrol: d’atmosfera, sguardi, vita quotidiana, senza eccessi) dove la musica ha un ruolo fondamentale a vari livelli (gli effetti sonori che distorcono la soavità di un’esecuzione) e che intriga dall’inizio alla fine nel modo in cui plasma il personaggio della protagonista, di una calma che è impassibilità inquietante: Déborah François è molto brava, tanto bella quanto angosciante. Il problema è un iter di vendetta molto scontato (viene in mente, fra i tanti, La Mano sulla Culla…è la Mano che Governa il Mondo), non sorretto da annotazioni psicologiche o dettagli “morali” che ne giustifichino il modo tutto francese di fare thriller, attento ai caratteri e con recitazioni dimesse: l’impalcatura, poi, crolla nel momento in cui rivela che tutto ciò che accade è parte di un piano diabolico pre-ordito. È del tutto improbabile, se non impossibile, che le tante azioni sottili e malefiche che la vendicatrice conduce portino, senza ombra di dubbio, ai risultati attesi (e che avvengono). Come essere certi che coinvolgere la vittima in un incidente stradale la destabilizzerà professionalmente? Come possono due parole dette al figlio convincere quest’ultimo a esercitarsi fino a farsi venire una tendinite? E soprattutto: come fa un bacio ambiguo e sensuale dato alla vittima in bagno a scatenare un rapporto morboso, omosessuale, fra le due? Sassi lanciati che il regista fa diventare un rapporto certo di causa/effetto con le risultanze: bastavano più oculatezza nel modo di raccontarli e più controcampi “nella” psiche della vittima, per giustificare gli effetti che si scatenano in lei. L’allegoria del rapporto di interdipendenza fra voltapagine e concertista non può funzionare se Dercourt mostra solo l’espressiva inespressività dell’aguzzina, perdendo tutti gli appigli psico/plausibili delle forze in campo.