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FUGA A PARIGI

Titolo OriginaleFrench Exit
NazioneCanada, Irlanda, U.K.
Anno Produzione2020
Genere
Durata110'
Sceneggiatura
Trattodal romanzo di Patrick deWitt
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Frances è una vedova mondana squattrinata di Manhattan, il cui marito è morto quasi due decenni fa. Con la sua eredità, incassa gli ultimi suoi averi e decide di vivere i suoi giorni del crepuscolo anonimamente in un modesto appartamento di Parigi.

RECENSIONI

«Sì, la mia vita è piena di cliché, ma sai che cos’è un cliché? Una storia così bella ed elettrizzante da essere invecchiata nella speranza di venir raccontata ancora». L’indulgenza autoassolutoria dichiarata ed esibita in Fuga a Parigi dal personaggio di Frances (Michel Pfeiffer, in un ruolo che le calza a pennello) - vedova ricca ed eccentrica finita in malora, sprezzantemente disinteressata a fare i conti con la realtà anche quando è la realtà stessa a presentarle il conto di una doratissima vita upper class; in altre parole, un cliché - è la stessa che, pur involontariamente, anima il film di Azazel Jacobs. Più che una storia (quella di una madre e di un figlio alle prese con la forzata riscrittura delle proprie esistenze), il suo è un affresco, un tableau neanche troppo vivant che si accosta ai suoi strambi personaggi - ma affascinanti, eh: del resto quand’è che i ricchi, con le loro nevrosi, le loro idiosincrasie, le loro verità non dette, non lo sono? - approcciandoli alla stessa maniera in cui essi si relazionano al mondo: guardandoseli sfilare davanti agli occhi, pigramente. Chiusi nell’appartamento parigino (come la nave sulla quale hanno viaggiato, un luogo-non luogo) che ha offerto un approdo alla loro fuga all’inglese (o “alla francese”, o “alla spagnola”, o “alla romana”: paese che vai, idiomatismo - e pregiudizio - che trovi...), Frances e Malcolm assistono impassibili al venir meno delle loro sostanze, mentre la sparizione dell’amato gatto - nero, quindi diabolicamente qualcosa più d’un felino... - dà il la a un intrigo che man mano che tensioni & nevrosi si accumulano, e le mazzette di banconote s’assottigliano, trasforma il pied-à-terre in un campo di battaglia, e in un porto di mare. Attorno ai due protagonisti e alla loro compassatissima (dis)grazia, infatti, tutta una galleria di stralunati a comporre un mellifluo catalogo di eccentricità assortite. Così, ammazzando insieme a loro il tempo tra una seduta spiritica e un torneo a braccio di ferro, il film si (se la?) squaglia.