Drammatico

VERSO ORIENTE – KEDMA

Titolo OriginaleKedma
NazioneFrancia/Israele/Italia
Anno Produzione2002
Durata100'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Maggio 1948. Gruppi di profughi ebrei approdano in Palestina…

RECENSIONI

L’ultimo film di Gitai è un dramma della transizione incompiuta da un passato colmo di dolore a un futuro denso di minaccia: in un orizzonte di grigi fangosi, le vittime di un odio secolare cercano la libertà, ma trovano in sé le radici della stessa violenza che ha causato l’Olocausto.
Il regista sceglie, per un simile viaggio infinito (il finale è doverosamente aperto), uno stile epico e straniato. La ricostruzione storica è accurata, ma il racconto si dispiega in istanti assoluti, tramite quadri di una guerriglia non vincolata da nitide indicazioni temporali; i dialoghi, secchi e naturalistici, si mutano spesso in furiose, inarrestabili “tirate” da teatro elisabettiano; l’itinerario dei personaggi intende compendiare quello di tutti gli uomini, che, fra il desiderio (e il dovere) di pace e la pulsione di morte, non sanno giungere salvi alla meta (quella indicata dal titolo italiano, o qualunque altra).
Forte dell’impatto (si spera) edificante della propria opera, il regista ha accuratamente eliminato ogni altro motivo di interesse: il discorso cinematografico è di una piattezza presumibilmente catartica, meramente accademica, blandamente soporifera. Sprazzi visivi per nulla disprezzabili (le arance, unico elemento di colore e di vita, il falò non ancora estinto, che svela in trasparenza/dissolvenza un’immortale capacità distruttiva) si perdono nei gorghi di piani-sequenza grottescamente levigati e interminabili (vedi l’incipit), fra personaggi che vorrebbero essere tipi (e sono solamente macchiette mal riuscite) e picchi drammatici ripieni di aria fritta.
Anziché un’opera disperata e rigorosa sul destino della Palestina e dei popoli che la abitano, Gitai firma un film (f)rigido e manierato, disperazione di chi, al cinema, non si accontenta di un sermone sulla necessità della tolleranza reciproca. L’inettitudine del cast è ineffabilmente esaltata da un doppiaggio ai limiti della parodia.