TRAMA
1578. Il re Sebastião di Portogallo sogna l’impresa che lo consegni alla Storia: dopo un consulto con gli ipocriti consiglieri, durante la notte incontra un fantasma che conosce la verità.
RECENSIONI
Da una pièce di Jose Regio l’indomito Manoel De Oliveira persegue il consueto apologo di finissima eleganza. L’amore per la rappresentazione lo porta a prenderla per mano, accarezzarla e coltivarla per poi farla esplodere violentemente, afferrandone la natura ambigua e crepuscolare. Dunque teatro filmato? No, è il cinema che lo insegue nell’ambizione di innalzarsi ad esso, gonfiandolo di toni cupi e piegandolo alle sinistre logiche del Sogno e della Predestinazione. Il re Sebastião di Portogallo, figura luterana per eccellenza, attende la Morte prigioniero tra quattro mura, solitario tra lacché, cigolii, indizi del passato e memorie di martirio. Nello schema preordinato si annida perennemente la virata fantastica, pronta a sorprendere, sbigottire ed avvincere: l’attrito metallico della spada morente, l’insinuarsi di uno spettro nella notte, il vento (?) che misteriosamente sconvolge un tendaggio, lo sguardo lacerante dal volto di Cristo. Subito immerso in un cono d’ombra (da qui l’oscura introduzione) il sovrano, inerme e pietoso, rinuncia alla grandezza per l’eternità, mimetizza la propria finitezza dietro alla Leggenda – ovviamente fuori campo: in primo piano soltanto il suo tormento, liberato infine da un urlo lancinante (l’abisso di Ricardo Trepa, tra imperturbabili morti parlanti, è la vera folgorazione).
Tetri campi lunghi d’infinito coinvolgimento per declinare la decadenza d’un’utopia (la camminata del re e la nonna), soliti interni di stringata perfezione che si contraggono su sé stessi, favorendo una claustrofobia sempre maggiore scolpita in un climax notturno; il montaggio alternato tra giullari e sovrano, mostruosità fisica contro spirituale, rammenta che il pugno della crudeltà stilistica è sempre dietro l’angolo. Devastante il potenziale dialogico in cui si inserisce l’ultima essenziale battuta: il film sospende il dilemma portante (re o folle?) e si adagia sulla fatale linea della Storia, richiamando quel sinistro Ieri come Oggi per conturbare la platea con l’infuocata attualità di UN FILM PARLATO. Che il Quinto Impero sia soltanto il mondo delle ombre?

Evocata in UN FILM PARLATO (Leonor Silveira racconta alla figlia la leggenda del re destinato a tornare in un giorno di nebbia), la figura di Sebastiano, squilibrato sovrano portoghese promotore di una spedizione africana risoltasi in un vero suicidio di massa, è il fulcro della più recente follia di De Oliveira, che a quasi 97 anni non ha ancora finito di stupirci. A ogni nuova opera lo schermo appare sempre più disadorno, ma è un’illusione ottica: nel vuoto non c’è posto per il superfluo, l’essenziale è salvo. Prigioniero della propria condizione messianica (la cometa all’inizio dell’opera non è solo frutto di piaggeria cortigiana) e dell’imponente eredità morale di (quasi) tutti i suoi avi, Sebastiano percepisce l’abisso che separa realtà e sogno, carne e spirito, ragionevolezza e sensibilità (lo scontro con i consiglieri). La notte, nel cui melanconico grembo le ombre assumono consistenza, l’alterigia regale si smarrisce in un balbettio confuso e il passato si fonde al presente per evocare lo spettro del futuro, è il momento della lucidità, della riflessione disperata, dell’appello senza risposta (Padre, allontana da me…). Ma quando il sole sorge, il presente riconquista i suoi diritti: la vita non conosce indugi, vivere è agire. I contorni si stagliano netti, la luce acceca (la gratuita crudeltà della condanna a morte), il puro folle si ritrova coinvolto nel gioco contraddittorio, aspro, insolubile della vita. Se il sottotitolo dell’opera – IERI COME OGGI – può (anzi, deve, stando alle dichiarazioni di De Oliveira[1]) indurre a riflettere sulla ciclica follia bellica, la parabola di Sebastiano, schiacciato fra dover essere (sovrano di un regno “reale”) e non poter non essere (re sacro, oggetto di profezie e morbosa devozione), è simile a quella di tanti personaggi della recente produzione del regista, dalla Mme De Clèves de LA LETTERA al Gilbert di RITORNO A CASA, ai fratelli de IL PRINCIPIO DELL’INCERTEZZA, lacerati dal dubbio, nelle mani di un destino imperturbabile. Ieri come oggi, per tutti allo stesso modo.
