GLI ORRORI DEL LICEO FEMMINILE

Titolo OriginaleResidencia
NazioneSpagna
Anno Produzione1969
Durata99'

TRAMA

Orribili e misteriosi delitti riguardanti giovani fanciulle vengono consumati all’interno di un collegio femminile nei pressi di Avignone sul finire del secolo scorso. La severa direttrice Madame Fourneau con l’aiuto di alcune ragazze cerca di venire a capo degli inquietanti accadimenti.

RECENSIONI

L’opera di Narciso (“Chicho”) Ibáñez Serrador, regista uruguayano con eminenti esperienze televisive in madrepatria, in Argentina e poi trapiantato verso la metà degli anni ‘60 in Spagna, si inserisce con diritto e con merito, tra il revivalismo nostalgicamente fuori tempo massimo di Paul Naschy/Jacinto Molina, l’eccentricità di Jesus Franco e il folklore di Amando De Ossorio, nell’alveo della cinematografia iberica di genere orrorifico tematizzando argomenti estremamente audaci considerato il contesto storico di riferimento mediante una cifra stilistica del tutto personale. Uno degli elementi di maggior rilievo del cinema di Serrador è l’aver annullato la distanza nelle forme espressive di cinema e televisione. Serrador ha sempre, fondamentalmente, operato in maniera cinematografica, lavorando anche televisivamente su tempi e modi cinematografici, perciò non rimaniamo affatto stupiti dalla maturità di stile enunciato nel suo primo film in pellicola che è appunto Gli orrori del liceo femminile (titolo dell’italica distribuzione che travisa immancabilmente la valenza semantica dell’originale).
La residencia diviene simbolicamente da subito il lieu inquietant entro il claustrofobico perimetro del quale avvengono morbosi incroci, diaboliche giunzioni, di derive relazionali improntate agli psicologismi più sotterranei. L’attenzione per la tetra ambientazione dell’antico maniero come spazio claustrale (quasi hammeriano) dalle suggestive atmosfere orrifiche suggerisce una sorta di frammentazione a mo’ di scacchiere nell’ambito del quale sono relegati i movimenti di due blocchi contrapposti: quello dell’apparentemente spietata figura della direttrice (interpretata dalla veterana, bravissima, Lilli Palmer) e il suo entourage di aguzzine, e quello delle collegiali. Lo spazio filmico (e la sua conseguente costruzione) oltre ad essere attraversato, inevitabilmente, da evidenti elementi esploitativi quali sesso e violenza (l’esibita intemperanza della sensualità ninfea viene sorvegliata e punita secondo la logica del castigo), viene trafitto dal languore geometrico della traiettoria degli sguardi tra il candore virginale delle educande e la grevità delle loro educatrici. Un sottotesto visivo di sconcertante e folgorante inesplicitezza ammantato di una sublime sensazione di paura e desiderio in grado di sublimare la palpitante pulsione celata sotto uno strato di normalizzata identità sociale e che prefigura un perverso gioco di ribaltamento nei ruoli (fino a quello di vittima e carnefice). E in tutto questo la sobrietà espressiva, pur nelle iperboli della debordanza cromatica della carne e il sangue, nell’affrontare con calcolata sottigliezza un tema tipico come l’edipicità, vissuta con cruda tenerezza mediante gli occhi di un figlio “maledetto”, e parallelamente la delicata follia nel descrivere sussurrato la degenerazione dovuta al fantasma edipico di una libido erotica nella perversa declinazione della necrofilia rivelata in uno dei finali più belli della storia del cinema (non solo) horror.
Rinvenire in La residencia – come fanno quasi tutti – il referente prototipico di Suspiria è legittimo, ma bisogna farlo con la consapevolezza del fatto che Argento ha girato tutt’altro film.