Commedia

OGNI VOLTA CHE TE NE VAI

TRAMA

Orfeo sogna fin da bambino di diventare un cantante di liscio. Insieme a parenti, amici ed alla storica amica del cuore, con la complicità del padre che investe tutte le sue risorse economiche nel progetto, fonda l’orchestra “I califfi del liscio”. Ma i rapporti affettivi rischieranno di compromettere il successo del gruppo.

RECENSIONI

Il debutto cinematografico di Davide Cocchi ha, sulla carta, un grande pregio: l'ambientazione nella riviera romagnola, tra passi di danza al tempo di "Reginella Campagnola" e balere mollemente adagiate nella bassa padana. Nessun giovane, bellino e talentuoso, a inseguire riflettori e severe selezioni al ritmo di hip-pop, ma un universo fuori moda e sconosciuto ai più, dal carattere prettamente regionale nonostante l'attento ed esigente pubblico di fedelissimi. Peccato che uno spunto originale e poco frequentato dal cinema diventi poco più di un pretesto per ammorbare lo spettatore con il solito amorazzo, eterno e litigarello, tra un lui, ingenuo e dal cuore d'oro (Pieraccioni docet), e una lei pepata e fuggente. La sceneggiatura è talmente povera di idee che le uniche due trovate (il sogno nel cassetto e l'aneddoto sulle tartarughe) diventano veri e propri tormentoni, a cui la narrazione si aggrappa tutte le volte in cui non sa più che pesci pigliare, con un fastidioso senso di forzata circolarità. Per il resto calma piatta, con dinamiche affettive di elementare meccanicità, che vanno dagli schiaffi alle carezze senza alcun approfondimento, e personaggi che battibeccano senza un vero perché e con poca verve, strappando qualche tenue sorriso (la cadenza romagnola è sempre buffa) ma nessuna risata. La Romagna resta una cornice poco riconoscibile che solo due inquadrature del suggestivo borgo di Mondaino tolgono dall'anonimato più completo, e anche del mondo del "liscio" si finisce per conoscere poco o niente. Non bastano un'orchestrina sgangherata, qualche duetto canoro, l'ennesima sfida (questa volta a suon di mazurca) e azzeccate facce da bar, per trasmettere l'odore e il sapore di una terra e delle sue tradizioni. Il racconto insegue la gag, cerca la battuta ma la trova solo nell'epiteto volgare e affianca siparietti privi di mordente che cavalcano con poca fantasia lo stereotipo. Quanto agli interpreti, Fabio De Luigi crede nel suo personaggio più di quanto riesca a fare il pubblico, Cecilia Dazzi ha più grinta che simpatia e Rolando Ravello esagera toni già estremizzati in fase di scrittura, mentre il cameo di Raoul Casadei, nonostante l'ironia delle intenzioni, è semplicemente imbarazzante. I toni agrodolci della conclusione ci risparmiano un lietissimo fine, ma non l'inconsistenza di una storiellina esile esile e di un film che spreca nel vuoto un' opportunità interessante.