Drammatico, Recensione

LEZIONI DI PERSIANO

Titolo OriginalePersian Lessions
NazioneBielorussia, Germania, Russia
Anno Produzione2020
Durata127'
Sceneggiatura
Trattodal romanzo Erfindung einer Sprache di Wolfgang Kohlhaase

TRAMA

Gilles, giovane ebreo, viene arrestato dalle SS. Koch, ufficiale nazista, vuole aprire un ristorante iraniano dopo la guerra. Gilles si finge persiano e inizia a dare lezioni di lingua a Koch.

RECENSIONI

C’è una questione linguistica al centro di Lezioni di persiano, il film di Vadim Perelman liberamente tratto dal libro di Wolfgang Kohlhaase, dal titolo originale Invenzione di una lingua, a sua volta «basato su fatti veri»: l’incredibile vicenda di un ebreo che si finse persiano per sfuggire alla morte e fu protetto da un ufficiale nazista, in cambio dell’insegnamento del farsi. Perché, come disse Spielberg presentando Il ponte delle spie, «la Storia è il miglior sceneggiatore, il miglior autore, un autore che osa qualsiasi cosa». Ecco allora che l’ebreo Gilles, arrestato nella Francia occupata del 1942, si spaccia per persiano e nel campo incontra l’ufficiale nazista Koch, responsabile delle cucine, che vuole aprire un ristorante in Iran dopo la guerra: gli farà lezione per avviarlo al lavoro futuro. Non è un caso che il racconto sia finito nelle mani di Perelman, ucraino cresciuto in Urss, naturalizzato canadese, di origini ebraiche: già autore del complesso melò La casa di sabbia e nebbia (sottovalutato) e di Davanti agli occhi, film a incastro che applicava il mind game movie alle stragi nelle scuole, affidando allo spettatore il compito di ricostruire la “verità” di cosa stava vedendo. Qui Perelman riprende il confronto simmetrico a due del primo titolo, basato su una linea sottile che può sempre spezzarsi e portare al massacro (e il personaggio di Ben Kingsley era proprio iraniano); del secondo richiama il grande tema che deraglia volutamente sul terreno di genere. Iniziano le lezioni, infatti, e il dramma incontra il thriller: il confronto-sfida tra i due personaggi avanza lentamente attraverso un gioco di strategia, in equilibrio precario, con continue leggere oscillazioni verso l’uno o l’altro (Gilles potrebbe tradirsi? Koch potrebbe scoprirlo?).

Partendo da una posizione di potere e una subordinata, ottimamente rese dagli attori - la fragilità di Nahuel Pérez Biscayart contro la superiorità di Lars Eidinger - si instaura un rapporto di dominazione e sottomissione quasi polanskiano, con una vena masochista, in cui le parti si mescolano: ferma restando la traccia etica dell’ebreo davanti al nazista, Koch si lascia andare a dure punizioni per poi aprirsi a concessioni; allo stesso tempo ha bisogno di Gilles per coltivare il paradossale “sogno” di aguzzino, le lezioni sono essenziali, l'ebreo diventa insostituibile e dunque dominante, è colui che sa, colui che porta il fuoco. Il rapporto tra carceriere e prigioniero si ribalta così in quello tra maestro e discepolo. Nella dipendenza dall’altro Koch diventa allora la figura più ambigua, un nazista “umano” pieno di sorprendenti chiaroscuri, che coltiva una cultura orientale mentre fa pulizia etnica. Solo che il suo farsi è totalmente inventato: sfruttando le liste dei reclusi che compila, Gilles costruisce le parole ridando implicitamente dignità ai nomi deportati, che servono al suo inganno. E concretizza il concetto di memoria: li impara a memoria, appunto, fornendo un contributo decisivo alla ricostruzione dell’orrore dopo il Reich. Lezioni di persiano si muove fluidamente in due campi: la lingua inventata della letteratura novecentesca, da Tolkien a Ursula K. Le Guin, e il travestimento cinematografico per sfuggire ai nazisti, dall’archetipo Vogliamo vivere! in poi. Perelman conduce la partita con solida regia, ci fa credere alla messinscena e al rischio perenne di essere scoperti, scivola in eccessi didascalici quando mostra la violenza possibile, ma ha il merito di tenere vivo il cinema sull’Olocausto dopo la riscrittura “definitiva” de Il figlio di Saul. Lo fa attraverso il genere che diventa morale: la vittoria finale di Gilles con lo smascheramento del nazista produce anche una giustizia della Storia.