Drammatico, Netflix, Recensione

LA NAVE SEPOLTA

Titolo OriginaleThe Dig
Anno Produzione2021
Durata112'
Sceneggiatura
Trattodal romanzo di John Preston
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Basil Brown è un addetto agli scavi archeologici che viene ingaggiato dalla benestante Edith Pretty per scoprire cosa si nasconde sotto dei tumuli presenti nel suo terreno.

RECENSIONI

Simon Stone, classe 1984, è già un grande del teatro contemporaneo, uno di quei talentacci che non ha alcuna remora a suggere da Ibsen temi e atmosfere, per allestire una macchina del tempo che snocciola storie di più generazioni che vivono tra le pareti di una casa di vetro ruotante (Ibsen House, un capolavoro; da L’anatra selvatica del drammaturgo norvegese è tratto il suo primo, bellissimo film, The Daughter). O a far intonare Umbrella di Rihanna ai personaggi di Tre sorelle di Čechov, in uno degli allestimenti più emozionanti che ho visto nell’ultimo decennio, eccitante esempio di cosa può significare condividere un classico con chi vive nel terzo millennio, facendone risuonare la duttile attualità a suon di messa in scena ibrida che guarda all’immediatezza del cinema e all'orizzontalità delle serie televisive, e di riconcezione/riscrittura ad hoc del testo (situazioni, personaggi, toni).
Mutatis mutandis, quello che avviene con questo film: qui è come se Stone (australiano, dato non irrilevante) partisse da un progetto à la Merchant-Ivory per guardarlo con l’occhio tecnologico di oggi, senza temere di sgualcirlo. Fa dunque ricorso a camere mobilissime che non dimenticano punti di vista canonici (l’esterno della villa, la camera da letto illuminata, la finestra a incorniciare la protagonista); inquadra interni elegantissimi barcollando come fossimo in un filmino di famiglia, con riflessi di luce quasi casuali, a colpire l’occhio e rendere il contesto fuori da rigide composizioni, dunque reale, quotidiano; non teme il ricorso ai droni per coprire un paesaggio altamente significativo, esaltandolo altrimenti nel piano lungo o arrivando al grandangolo per esaurire certi quadri. O il montaggio nervoso per rendere sincopato un fraseggio filmico che altri vorrebbero piano e accademico, visti la storia, il contesto e il (meraviglioso, compenetratissimo) cast. Tutto, insomma, sa di cosciente rivisitazione (anche le musiche minimaliste): Stone sta aggiornando (stravolgendo?) un canone. Parte dunque da una storia vera (e da un romanzo di John Preston) e narra di Edith, una giovane e ricca vedova che ingaggia Basil, un archeologo dilettante, per delle ricerche nella sua proprietà, portando alla luce un grandioso monumento funerario.

Un mese in campagna - Pat 'O Connor (1987)

Stone affronta la materia rivisitando anche certe istanze della British Renaissance: mi viene in mente un film completamente dimenticato, Un mese in campagna di Pat O'Connor con Colin Firth e  Kenneth Branagh (negli anni 20, nello Yorkshire, il primo riporta alla luce l’affresco di una chiesa, l’altro i resti di una tomba: ma non è la scena dipinta, né i ritrovamenti archeologici, a rilevare, è il percorso di scoperta; perché, ovviamente, questo riguarderà più gli individui che le cose). E poi, ribadisco, c’è una consapevolezza post-ivoriana precisa, che ritrovo in quel modo inconfondibile di costruire un’immagine di superficie per velare, lasciandoli solamente intuire, tutti i veri motivi dei personaggi. Motivi sepolti (appunto), da portare alla luce (appunto). Ecco che la storia vera del ritrovamento della nave funeraria di re Raedwald, a Sutton Hoo, nel Suffolk (uno dei più importanti mai avvenuti nel Regno), diventa altro: la cornice simbolica delle storie dei personaggi, situazioni e rapporti che nascondono istanze personali, istinti repressi, sentimenti silenziati, tumulati sotto tonnellate di convenzioni (in questo senso il titolo italiano è decisamente meno efficace di quello originale, il ben più ambivalente The Dig, lo scavo).
Tema tipicamente ivoriano (per tutti, la love story - mai nata, tutta in potenza - di Quel che resta del giorno; ma di reperti del passato riportati alla luce, al pari degli autentici sentimenti dei personaggi, parla anche Chiamami col tuo nome, come scrivevo nella recensione), che ritrovavamo anche in Un mese in campagna: la triangolazione sterile dell’amore inespresso del restauratore (Colin Firth) per la moglie del reverendo (Natasha Richardson) e quello dell’archeologo (Branagh) per il primo.

In La nave sepolta c’è una love story sottintesa e impossibile tra Basil ed Edith (lui, fin quando è in villa, non apre le lettere della moglie; lei si agghinda per la cena alla quale lo invita). La storia del matrimonio di Basil, poi, è tutta contenuta in una frase pronunciata dalla moglie, che rende conto, in un modo che è puro distillato di laconicità British, delle passate avventure di lui, dell’amore incondizionato e paziente di lei («Quella fanciulla vichinga ti ha proprio conquistato» pronunciato con la placida consapevolezza di chi sa di essere e rimanere il porto stabile e sicuro). E c’è il matrimonio di Edith, il marito morto prematuramente: un passato più prossimo col quale la donna deve fare i conti, un rapporto irrisolto con un ricordo che l’ha condotta a evitare altre relazioni (ancora una volta, tutto in un’immagine: i reperti della nave messi sotto al letto, accanto alla valigia del consorte).
Si diceva del disinvolto montaggio: quasi a sottolineare la distanza tra parole e sentimenti, Stone lascia molti dialoghi al fuori campo, pur restando la camera sulla circostanza che li ospita. Così ascoltiamo ciò che si dicono Edith e Basil (e poi Peggy e Rory), ma vediamo i personaggi a bocca chiusa, come se a contare fosse, per l’appunto, quello che si agita nella loro mente e nel loro cuore, quello che non si dicono.

Ma è molto bello anche il modo in cui il film, man mano che lo scavo prosegue, si popoli gradualmente di altri personaggi, che recano altre storie e altro spirito trattenuto, ma con logiche meno sedimentate, dunque ancora scalfibili, non ancora seppellite sotto la coltre del tempo, ancora riportabili in superficie («Abbiamo scoperto la vita. È per questo che scaviamo»). Il fresco matrimonio tra Peggy e Stuart, omosessuale - matrimonio di cui nulla sappiamo: quando, come e soprattutto perché -, si sta avviando verso l’implacabilità del meccanismo, verso una frustrazione tacita, già quasi inaffrontabile, se non fosse che sia lei che lui hanno adocchiato qualcuno da amare davvero. E la padrona di casa, sapendo di dover morire e di lasciare solo il figlio, ha compreso subito quali sono le forze in campo e come comporle. Il cugino è l’eletto padre e Peggy l’eletta madre. Allora quando Peggy si lascia andare alla crisi di pianto di fronte alla foto degli scavi scattate da Rory, di cui si scopre soggetto principale, Edith mette in campo un discorso ambivalente, che è il cuore del film, perché lì ne risiede tutta la sostanza concettuale (le motivazioni reali che si nascondono dietro le parole, l’ambiguità delle stesse).
Edith dicendo « La vita scivola via, ci sono momenti da cogliere» non sta solo suggerendo a Peggy che deve vivere l’attimo, lasciare il marito e dare voce alla passione per Rory, ma sta parlando anche di se stessa. Sta dicendo (a se stessa) è la mia vita che sta scivolando via, sto per morire, tu e mio cugino siete l’occasione che devo cogliere, la nuova famiglia alla quale consegnerò mio figlio. Per questo, Peggy, non devi smettere di scavare dentro te stessa, per questo devi riesumare la nave dell’amore che è sepolta dentro di te, perché farla venire alla luce è necessario anche a me.
Parole che si estendono al contesto storico, all’imminente scoppio della seconda guerra mondiale (siamo, ovviamente al tramonto di un’epoca), a una generale riflessione sul senso dell’esistenza (Edith e Basil si incontrano su quel terreno: lo scavo serve a consegnare qualcosa ai posteri, dare  senso a una vita che se ne sta andando senza lasciare tracce).
Testo e sottotesto insomma, come nella tradizione ivoriana, qui omaggiata anche da un adattamento molto felice che riesce a concertare il progressivo (direi quasi teatrale) ingresso dei personaggi con la squisita calibratura dei toni.