TRAMA
Il presidente degli Stati Uniti rischia di essere ucciso in un agguato compiuto da un mutante. Il pericolo corso richiede misure estreme, così viene incaricato di indagare sul fatto il generale Striker che decide di assaltare l’Istituto per Giovani Dotati di Salem. Per gli X-Men e’ il momento di entrare in azione e difendersi.
RECENSIONI
Troppo Super questi Eroi
Alla prova dell'immancabile sequel, gli X-Men mostrano un po' la corda. Nonostante sia rimasto praticamente invariato il cast e la regia porti sempre la firma di Bryan Singer, gli eroi mutanti perdono spessore psicologico e conquistano sicurezza, determinazione, autocontrollo. In poche parole, proprio l'invulnerabilità che permette loro di uscire indenni da ogni situazione, tanto spettacolare negli effetti, quanto lontanissima dal consentire qualsiasi tipo di immedesimazione. Come si fa a temere per l'incolumità di un personaggio quando la sceneggiatura non crea le premesse perché ciò accada? Uno degli aspetti più interessanti del primo episodio era dato dalla progressiva scoperta dei super-poteri dei mutanti, con i dubbi, le insicurezze, le difficoltà di integrazione in una società a senso unico. Nel sequel tutto ciò resta un accenno, che ritorna nella conclusione, ma di cui ci si dimentica per il resto del film, imperniato sulla solita storiellina del bene contro il male dai prevedibili esiti da baraccone digitale (neanche troppo sofisticato, poi). Tant'è che lo script, per ricordare che gli X-Men sono eroi, ma non a tutto tondo, decide di farne morire uno, per pareggiare il disequilibrio sfacciato delle forze in gioco. La regia di Singer si rivela professionale ma un po' anonima. Solo nel prologo riesce a dosare con efficacia l'atmosfera di pericolo imminente con gli effetti speciali e il divertimento. Quanto agli interpreti, rispetto a due anni fa molti sono diventati star, o comunque famosi, e la riconoscibilità non giova ai personaggi, prevaricati da tanta popolarità. L'unico che conserva la sua carica di simpatia, dovuta anche a una migliore caratterizzazione rispetto agli altri, è il Wolverine di Hugh Jackman. Tra i nuovi acquisti, poco riuscito il "teleporta" Kurt Wagner che, forse a causa del doppiaggio o della pochezza delle sue battute (con una irritante semplificazione del concetto di "fede"), ricorda con sconforto il JarJar della saga di Lucas.
Anche alla prova costumi gli X-Men non superano l'esame. Nonostante la cura del dettaglio e la somiglianza con il fumetto di origine, infatti, sono molti i momenti involontariamente ridicoli, in cui il trash fa capolino con risultati da circo Togni (l'elmetto di Magneto, il mantello e i capelli di Tempesta, il mono-occhio di Ciclope) soprattutto alla spietata luce del giorno, senza l'ombra delle tenebre a distribuire luccichii e proteggere il mito.
Il Ciclope e la Fenice
Come reagirebbero gli Stati Uniti ad un attentato al cuore del loro sistema? Stryker e Singer non hanno dubbi: guerra totale. L’eccellente (super) minoranza etnica dell’universo Marvel deve combattere contro l’odio di razza, figlio della paura del diverso, e la superbia ariana dei propri simili. Il regista delle apparenze che ingannano e degli apologhi contro l’intolleranza inizia citando Lincoln, congela gli umani nel museo di una Storia che si ripete uguale a se stessa e chiude persuadendo il Capo dello Stato a cessare le ostilità, perché il rancore verso pochi non giustifica il conflitto contro tutti. L’episodio raccontato, uno dei più appassionanti della serie a fumetti, calza alla perfezione il momento storico della guerra contro l’Iraq, fra vendetta, apocalisse "preventiva" scatenata da un uomo solo e inganno che maschera le ragioni di una personale follia. Singer non è un Ciclope che chiude gli occhi sulla realtà, non si accontenta del solo raggio devastatore (l’effetto speciale) e, in modo più equilibrato che nel precedente capitolo, alterna stasi ed azione, anche a scapito di un ritmo più sostenuto e accattivante, spezzato com’è da fasi interlocutorie con uno spessore che non sempre le giustifica, finanche sfibrate in contesti che richiedevano più pathos (i tre amori impossibili: Rogue e l’Uomo Ghiaccio, Wolverine e Jean Grey, Mystica che seduce Wolverine cambiando corpo; oppure la morte di Jean Grey, dove latita il senso del pericolo e, di conseguenza, il rilievo del sacrificio). Se di turno, la super-azione è generosa, fra combattimenti Matrix (Nightcrawler al ralenti, He vs. She Wolverine), evasioni ingegnose (il ferro nel sangue della guardia!) ed esibizioni di potere (Pyro contro la polizia), all’insegna del make-up di un perfetto casting (gli X-men esistono veramente!). La fedeltà al testo era irrinunciabile per le rivelazioni (i segreti di un Wolverine poco bestiale), i colpi di scena e la lotta contro il nemico più pericoloso: il clima di sospetto dove il fratello denuncia il fratello. L’entr’acte del religioso Nightcrawler serve il messaggio cristiano della fede in un contesto diffidente, dove niente è ciò che sembra. Nell’ultima inquadratura si staglia l’ombra della fenice (la rinascita), dopo essersi immolata per dividere biblicamente le acque della discordia.