Drammatico

MOONLIGHT MILE

Titolo OriginaleMoonlight Mile
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Durata112'
Sceneggiatura
Scenografia
Musiche

TRAMA

Primi anni Settanta: il dramma di una coppia matura, Ben e Jojo, la cui unica figlia viene fatalmente uccisa, e del loro quasi genero Joe.

RECENSIONI

Le acidule premesse che fanno muovere molto bene la primissima parte del film conoscono, nel seguito delle vicende, punte intelligentemente grottesche ma anche facili scivoloni retorici: la spasmodica ricerca di una nuova serenità dopo la tragedia, che è tema centrale del film [come sottolineato dall'irrinunciabile, benché (perché) superfluo, sottotitolo italiano], che è abilmente velata in quella che all'esterno pare soltanto la composta elaborazione di un lutto, trova di fronte a sé ostacoli e ipocrisie ma ha dalla sua una determinata e tormentata volontà di combatterli. La morte, d'altra parte, almeno all'inizio, è sempre inaccettabile, soprattutto se porta con sé silenzi e mezze verità: da questi derivano sensi di colpa, legati a concatenazioni perverse di nessi di causalità, che spaccano il cuore e fanno cozzare le teste contro i muri.
Il film ben si sofferma sui personaggi dipingendone uno (quello della sempre convincente Sarandon) con manierato ma efficace anticonformismo, un altro (quello di Hoffman) con buona sensibilità e quello del protagonista (Jake "Donnie Darko" Gyllenham) insistendo su una tenera e studiatissima goffaggine.
Il regista mette in scena il suo dramma in una cittadina del New England, negli anni Settanta, svuotata di ragazzi, quasi tutti partiti per il Vietnam e, cercando di non calcare troppo la mano, ma muovendosi piuttosto in una rassicurante terra di mezzo, se da un lato salva la pellicola da un caricaturismo e un eccesso tonale che ogni tanto sembrano qua e là occhieggiare (almeno un paio di volte diventano QES[1]), dall'altro la imbalsama alquanto nell'anonimato.
Tra spruzzi musicali rigorosamente d'epoca  (c'è, ovviamente Moonlight mile, da Sticky Fingers, degli Stones, ma anche pezzi di Elton John, Robert Plant, Van Morrison, T Rex, Jethro Tull etc.) - un'epoca richiamata, a dire il vero, piuttosto labilmente -, il radicarsi della rassegnazione segue il suo percorso, non tutto prevedibile, e arriva al suo declamatorioliberatorio momento. Silberling (il film si richiama a una vicenda biografica: l'uccisione della sua compagna, l'attrice Rebecca Schaeffer) non ha nessuna voglia di osare sul serio, lasciando il risvolto onirico e alcune non disprezzabili intuizioni a livello di puro e irrisolto abbozzo. Peccato, perché in più punti il film sfugge al cliché, ha alcuni passaggi ben scritti, possiede il pregio di non sbracare (troppo), neanche nelle scene madri, e avrebbe potuto raggiungere quello che è il suo evidente (e dichiarato - si ascoltino le parole di Joe in tribunale -) obiettivo: evitare il quadretto, frantumarlo, dare un po' di spazio alla verità dell'emozione tra le strettoie delle dittatoriali e opportunistiche formulette.

[1] QES- Quel Errore di Stile - "Era proprio QES, cioè non so se mi spiego, calzoni colorati.... andavano nel 1979" -  Douglas Coupland