TRAMA
Chicago, giorni nostri. Il problema di Toula, trentenne in aria di zitella, non è essere l’ennesima reincarnazione del brutto anatroccolo, ma avere alle spalle un’oppressiva e conservatrice famiglia greca convinta che debba sposare a tutti i costi un uomo greco, e finire invece per innamorarsi di Ian, americano doc. Ma se Maometto non va alla montagna…
RECENSIONI
Il filone è quello d’oro delle commediole sentimentali con sfondo etnico (“Monsoon Wedding”, “Y tu mama tambien”), dove la parte del mattatore è sostenuta dal kitsch dell’ennesima famigliola straniera trapiantata negli Usa (imitazione della tradizione epica della “Famiglia Addams”). La storia è quella del brutto anatroccolo versione femminile (“Pretty woman”). La tesi è quella della società patriarcale sciovinista e creatrice di mostri (qualcuno si ricorda Frankenstein?). Il disco è quello della protestata (ipocrita?) emancipazione femminile. Il riso nasce dalla capacità di Nia Vardalos di deformare i miti della tradizione maschilista, attraverso la "sclerotizzazione" dello stereotipo (“Perché dovrebbe andare a scuola? È intelligente abbastanza per essere una ragazza!”), o il ribaltamento dei punti di vista (“se l’uomo è il capo, ricordati che la donna è il collo e può fare girare il capo come le pare”). L’orrore deriva dalla capacità della regista di attirare le simpatie sul suo personaggio di ragazza sfigata che lotta per l’indipendenza, lotta per trovare l’anima gemella, lotta per convolare ad un matrimonio d’amore, senza che ci sia né lotta per l’indipendenza (la madre di Toula plagia con facilità il marito per mandarla al college, e la zia l’assume nella sua agenzia di viaggi), né lotta per l’anima gemella (lui è bello, prestante, intelligente, romantico, upper-class, e a lei basta cambiare pettinatura per “accalappiarlo”), né lotta per un matrimonio d’amore (lui si sottopone con passiva automortificazione a tutti i “martiri” della famiglia greca di lei). A volte basta cambiare il punto di vista per trasformare il riso in sbadiglio, una storia dell’amore in una storia dell’orrore. La Vardalos, da creatura di Frankenstein, si emancipa e crea a sua volta un ideale di uomo senza il contributo dell’uomo. Ma questa volta l’ultima creatura non uccide l’ultimo dr. Frankenstein, lo sposa. E avranno dei figli, e ovviamente andranno alla scuola greca (… ma questa è un’altra ipocrisia).

Avrebbe potuto disperdersi tra i tanti blockbuster dell'anno, invece "Il mio grosso grasso matrimonio greco" e' diventato un vero e proprio fenomeno da botteghino. Costato poco piu' di cinque milioni di dollari, solo in America ne ha incassati oltre duecento e anche in Italia, e nel resto del mondo, continua a mietere spettatori. Cos'ha di cosi' speciale il film di Joel Zwick, nato dalla determinazione della protagonista e sceneggiatrice Nia Vardalos? Tralasciando i clamori degli incassi e attenendosi alle immagini, ci troviamo di fronte ad una classica commedia, dove il brutto anatroccolo trova il principe azzurro e vivono tutti felici e contenti. Una regia funzionale al racconto e molto attenta ai tempi comici (in alcuni momenti si ride di gusto), unita a una sceneggiatura oliata e a interpreti convincenti, rendono il film un gradevole passatempo. Andando un po' piu' a fondo nell'analisi colpisce l'apparente anticonvenzionalita' del soggetto: la protagonista appartiene ad una famiglia greca legatissima alle tradizioni e deve lottare non poco per imporre l'amato yankee al rigido patriarca. Ma la novita' e' solo di facciata perche', dietro alle stravaganze etniche, il percorso di Toula non scardina alcun cliche' e ripropone, senza alcuna variante e calvalcando gli stereotipi, il matrimonio come unico elemento in grado di dare senso e felicita' alla vita. A tal riguardo l'attenzione della sceneggiatura e' tutta riposta sul personaggio femminile. Il belloccio di turno, infatti, si rivela paladino di un amore tanto puro quanto privo di "umanita'", funzionale per il grande schermo ma assolutamente irreale nella concretezza della quotidianita', dove qualche ombra si affaccia anche sulla coppia piu' affiatata.
Cos'e' allora che ha attirato il pubblico da ogni latitudine? Forse proprio l'assenza di novita' e l'abile rimasticatura alla base del progetto. In fondo e' sempre piacevole immergersi in una storia dove un personaggio debole (per cui si parteggia subito) trova la forza per cambiare la sua vita e realizzare un sogno. Fondamentale per la riuscita, una certa freschezza nella confezione e la capacita' di creare un'empatia con il pubblico. In questo, riescono alla perfezione i tanti spunti folcloristici e un'interprete assolutamente in parte. Generalmente, infatti, assistiamo alla starlette del momento che si imbruttisce per poi dimostrare quanto e' "bona" (fondamentale la scena in cui abbandona gli occhiali spessi due dita). Nel film di Zwick, invece, Nia Vardalos non inganna il pubblico, ma si mostra subito per quello che e' (occhiali a parte): una ragazza in carne con occhi vispi e sorriso contagioso. Ed e' proprio lei la forza del film, l'elemento che ha consentito l'identificazione di milioni di ragazze che magari si sentono bruttine rispetto alla perfezione di plastica imposta dai media e pensano di doversi accontentare. Una sorta di riscatto attraverso il cinema. In realta' anche questa non e' una novita'. Pensiamo al ben piu' cattivo "Le nozze di Muriel" o all'amore a tempo di musica di "Ballroom - Gara di ballo". In entrambi i casi la protagonista femminile non era certo uno schianto ma riusciva a vedere, e a farsi vedere, al di la' del suo aspetto fisico.
Siamo quindi daccapo! Cos'e' che rende speciale il film? Forse una congiuntura astrale favorevole o, con piu' probabilita', il fiuto e l'abilita' di produttori e distributori che sono riusciti ad imporre il film creando un passa-parola capace di mantenere alta l'attenzione sul titolo. Chissa' quanti film, senza particolari pretese ma ben fatti e divertenti, riuscirebbero a diventare "fenomeni da botteghino" se solo potessero avere visibilita'. Perche' c'e' poco da fare, alla fine il pubblico continua a vedere quello che qualcuno ha deciso debba essere visto. Non tutte le ipotesi trovano riscontro e progetti a lungo coccolati e sostenuti si rivelano sonori flop, ma la visibilita' resta uno degli elementi determinanti per il successo di un film. Pensiamo, tanto per abbondare con gli esempi, a "Con la testa tra le stelle", gustoso film fantasma di Aileen Ritchie della scorsa stagione, dove un Irlanda formato esportazione e una sceneggiatura ritmata non hanno compiuto il miracolo. Analisi di un fenomeno a parte, "Il mio grosso grasso matrimonio greco" e' un film simpatico, divertente e convenzionale.
