TRAMA
La storia di Ana, giovane artista di strada, che lascia Ibiza per trasferirsi a Madrid nella dimora di una ricca mecenate; qui affronta le drammatiche reincarnazioni che hanno segnato le sue vite precedenti.
RECENSIONI
Pezzi di Ana
L’uomo e la donna, l’arte e la vita, l’amore e la violenza. Tutto qui. Di questo Caotica Ana non bisognerebbe neanche parlare; perché merita pienamente l’invisibilità che ha già ottenuto e perché suona eccessivo soffermarsi su un pasticcio tanto sfacciato, quasi in malafede, che troverà nei seguaci del trash inconsapevole i primi e unici sostenitori. Ma siamo pronti a contraddirci per segnalare l’ambizione smisurata che muove lo spagnolo Medem: il quale punta infatti a raccontare la brutalità atavica del maschio contro la femmina, un dato circolare che si ripete in qualunque epoca e tempo della Storia. E forse è proprio questa, si suggerisce implicitamente, la causa occulta dello smarrimento e dell’angoscia interiore contemporanea: sarà Ana a sbrigare la questione, visitando sotto ipnosi una lunga catena di ingiustizie che si concludono esattamente con le guerre di oggi. Ma cosa c’entra? Il regista respinge la coerenza a livello tematico ma anche stilistico: inquadrature sghembe, selvaggiamente arty (a cominciare dalle pasticche in discoteca, per proseguire con il bagno nudo in mare e mi fermo qui), non servono il discorso ma piuttosto un’atmosfera free da trasgressione liceale che punta tutto sulle misure della protagonista, la bellissima Manuela Velles. Siamo nei dintorni della stravaganza, tra unioni cromatiche e accostamenti arditi, con l’intenzione di scavare in profondità attraverso formule cinematografiche estetizzanti; ma quanto più intuibile è il desiderio intimo del film, le tappe che vorrebbe invano toccare, tanto più sotto ogni aspetto vibra clamoroso il fallimento.
Se non bastasse, Caotica Ana prepara la sua trappola: con questo sincretismo di spunti, dal sentimento all’attualità, lungi dall’approfondire alcunché, con le sue deliranti predizioni, con i suoi mezzucci cialtroni (Ana scopa parecchio e, guardacaso, sempre nelle fasi di stallo narrativo), prova disperatamente a far parlare di sé. E noi per inciso abbocchiamo con tutte le scarpe.
Un falco si avventa contro volatile niveo e subito lo accoppa. La metafora è sconcertante.
La Storia è solo una serie di atrocità, dice il padre ad Ana. L’esplicitazione è ovunque.
Ana defeca disinvoltamente in capo a un politico guerrafondaio. La presunzione è offensiva.
Ogni festival ha il suo scult: il film additato e sfottuto per anni, a imperitura memoria, e stavolta la proiezione di Caotica Ana ci toglie ogni dubbio.
