TRAMA
Il monologo di dolore e di rabbia di un vecchio uomo paralitico e solitario che, colpito da impotenza, tenta di recuperare l’equilibrio sessuale con la donna che ha amato.
RECENSIONI
Dwoskin spoglia la donna del suo rivestimento erotico attraverso lo sguardo del vecchio paralitico che si scopre impotente. Questo disinnesco del potere seduttivo femminile è operato figurativamente nello stile che ormai contraddistingue l'artista newyorkese (ma londinese di adozione). I corpi e i volti delle prostitute nell'atto della pratica sessuale appaiono deformi, volgari, grotteschi, strabordanti di grasso, visioni "malate" come se Schiele dipingesse su un bordello disegnato da Toulouse-Lautrec (che appare un evidente modello estetico per Dwoskin), mentre il preparatorio rituale di svestizione che precede l'azione è rappresentato impressionisticamente da lembi di biancheria intima sparsi per casa, dagli sguardi delle donne che sporgono curiose dall'uscio o dai loro corpi che passano al rallentatore dietro le porte come fantasmi di un horror giapponese, quasi a sancire l'"inconsistenza" di un corpo privato dell'eros. Lo stato di impotenza che pervade la pellicola è formalizzato anche dal posizionamento della camera quasi fissa ad altezza letto, praticamente una protesi corporea, che "taglia" vesti, cosce, teste, in una destrutturazione parossistica, di ispirazione cubista, perfettamente coerente con lo stato di paralisi dello sguardo oltreché del fisico dell'uomo; ma è anche nell'espressione dolente, finita la "recita", della moglie e delle prostitute, incapaci di risvegliare il desiderio dell'uomo e dunque impotenti loro stesse. E purtuttavia quello sguardo malato sul corpo femminile può essere considerato provocatoriamente come il più lucido immaginabile, il più "reale", privo com'è della trasfigurazione operata dalla mente naturalmente "animale" dell'uomo.
