TRAMA
Due amici, Mark e Kurt, si riuniscono per un fine settimana sulle montagne dell’Oregon. Mentre il tempo passa e il panorama cambia, i due attraversano una gamma di impercettibili emozioni intraprendendo una sorta di viaggio spirituale fatto di incertezze, intuizioni e conflitti interiori. Giunti a destinazione, una sorgente d’acqua calda in una foresta secolare, dovranno confrontare i diversi cammini che hanno scelto.
RECENSIONI
L'infelicità deriva da una gioia consunta. Sembra essere infatti il confronto con un passato carico di fiducia nell'avvenire la causa maggiore del disagio in cui si trovano impantanati Mark e Kurt, i due protagonisti del film di Kelly Reichardt. Kurt vive ancora negli ideali della giovinezza e mette radici temporanee dove la vita lo porta ("non mi sono mai messo in una situazione da cui sapevo per certo di non potere uscire", dice in relazione alla futura paternità dell'amico). Mark ha seguito un cammino più tradizionale e coltiva un rapporto affettivo con una ragazza che lo sta per rendere padre. Entrambi sentono che là fuori il mondo è brutto e cattivo e decidono di vivere due giorni di vacanza immersi nella natura per rinverdire il sentimento puro di amicizia che li ha fatti incontrare e frequentare prima che i diversi destini, e lo scorrere del tempo, impolverassero il loro rapporto. La Reichardt, anche co-sceneggiatrice, affronta il "grande freddo" dei personaggi con estremo pudore, lasciando che siano i gesti, gli sguardi, i silenzi, a farsi parola e ad esplicare le divergenze degli stati d'animo. Attenta a non schematizzare troppo i caratteri (gli aggettivi "fricchettone" e "borghese" restano in penombra) la Reichardt aggira gli stereotipi ma non evita del tutto i luoghi comuni: l'asfittico tepore familiare con una compagna possessiva e dura a cui bisogna chiedere il permesso e che necessita di frequenti telefonate con rassicuranti "ti amo", da una parte; e dall’altra un incedere timidamente bohemienne, fatto di televisori raccattati, fantomatici amici, fragili ideologie e canne in libertà. La Reichardt, attenta a non forzare il punto di vista, mantiene uno sguardo affettuoso nei confronti dei personaggi pur evidenziandone le contraddizioni. Resta però il sospetto di una eccessiva benevolenza. Come se il grigiore e i timidi sorrisi dipendessero più dagli altri (la fantomatica "società", ma chi è costei?) e dalle loro scelte piuttosto che dalla personale adesione a un modello. Come se il malessere fosse una diretta conseguenza delle decisioni che solo altri, i "cattivi" del mondo, hanno imposto. Come se l’assenza di una presa di coscienza risolutiva fosse più la conseguenza di un’impossibilità di essere ascoltati che di un’incapacità di ascoltare. "Lavoro tutto il giorno" dice Mark, ma la cosa appare un dato di fatto e non viene messa in discussione da ipotesi del tipo "potrei provare a lavorare meno e fare anche altro". Ancora una volta tristissima la provincia americana, fatta di anonimato, case basse affiancate senza criterio, cieli in agguato e vite destinate a un rapido consumo.

Road movie minimale ed intimista, Old joy vive di ciò che non dice: i due amici che partono verso le cascate dell’Oregon non abbandonano solo per qualche tempo le loro vite, il contesto civilizzato nel quale agiscono e che sostanzialmente subiscono, ma sembrano anche riprendere le fila di un passato che li ha segnati. Tutto ciò che viene detto, il confronto tra due esistenze che hanno preso direzioni opposte e contrastanti, ha un fondo eluso che va intuito o immaginato. Il viaggio verso un ambiente puro e incorrotto diventa un’esperienza spirituale di riscoperta e di graduale, crescente tensione emotiva. Forse tra i due amici c’è stato anche dell’amore, forse del sesso, forse semplicemente una forte intesa sfociata in gelosia platonica: qualunque cosa fosse, ciò che un tempo li ha uniti è ciò che oggi li divide. E che li ricongiunge ad un tratto. Prodotto (tra gli altri) da Todd Haynes, interpretato da Will Oldham (aka Bonnie Prince Billy, il grande songwriter americano) il film, girato in alta definizione, si presta anche a letture politiche (i notiziari della radio danno conto della disillusione liberal che sembra riflettersi nell’atteggiamento rassegnato e autoindulgente dei due) e convince soprattutto per la sincerità della rappresentazione, per le prove naturali degli attori e per il modo in cui la regista riesce a usare empaticamente lo splendido scenario naturale.
Tratto da un racconto breve di Jon Raymond. Musiche dei Yo La Tengo.
