TRAMA
Un documentarista giapponese rimane affascinato dall’incontro con Yuda, un ragazzo che dopo una breve frequentazione sparisce con la sua videocamera.
RECENSIONI
Il veterano Zeze Takahisa (poiché un regista giapponese medio della classe 1960 in Giappone per la sua imposta prolificità può essere a ragione considerato un veterano) con trascorsi significativi nel pinku eiga gira un’opera di struggente intimità. Come recita il titolo anglizzato (The Secret Journey) Yuda è un lungo e lacerante viaggio dal fulgore ruvido delle immagine sgranate di un documentario al dolore di una realtà che si mostra nel suo frantumarsi e smarrirsi nello scompaginarsi di una flebile, dolente, ipotesi filmica. L’urgenza documentaristica del protagonista diviene pretesto narrativo per raccontare il sentimento della perdita che attraversa i percorsi delle tre esistenze nel loro venire a costituire uno strano ménage, tre vite che si incontrano, si scontrano, si sfiorano, si violentano, si accarezzano, si perdono nel languore delle notti metropolitane e si ritrovano nella grana delle immagini dei ricordi, di una memoria digitalizzata e condannata a una motile fissità che imprigiona i loro sguardi e i loro corpi desideranti nella labile forma del supporto tecnologico. Amori e morti attorcigliati intorno alla casualità beffarda di attimi rubati al tempo e allo spazio dell’assurda e fatale quotidianità fatta di situazioni e individui che sanguinano speranze esistenziali, come Yuda, bellissima ragazza, votata al morire, fin dalla sua prima corsa furibonda verso il nulla con la videocamera in mano, leggera e androgina come il cinema.
