THE HYPNOTIZED

Anno Produzione2004

TRAMA

Ji-su, dalla personalità disturbata, soffre di un senso di vuoto che la porta sull’orlo del suicidio. All’ospedale incontra lo psichiatra Suk-won che, nonostante l’impegno, non riesce ad aiutarla. Un anno dopo i due si rincontrano e si innamorano: ma mentre le condizioni psichiche della ragazza migliorano, lui comincia ad attaccarsi a lei morbosamente.

RECENSIONI

Sotto il vestito niente

Ci sarà una ragione per cui uno spot dura qualche decina di secondi e un videoclip non supera mediamente i cinque minuti. A sostegno degli evidenti limiti di uno stile patinato, tutto giocato sul glamour delle immagini e sulle contrapposizioni del montaggio, può essere di lezione il film di Kim In-Sik. L’inizio è folgorante, con l’intimità della protagonista che prende forma nel fluttuare degli oggetti della sua stanza: un mondo interiore, incapace di aderire alle regole gravitazionali della concretezza, reso con grande suggestione. Ma tutta la prima parte, pur con qualche licenza allo spot, riesce ad unire una ricerca puramente estetica con la capacità di intrigare. Poi, però, il raffinato design degli interni e il look modaiolo dei personaggi prendono il sopravvento sulle motivazioni, trasformando il lungometraggio in una vetrina del "cool". Netta linea di demarcazione, il flashback in cui la protagonista ripercorre il suo trauma affettivo, girato con uno stile di insopportabile vacuità (roba da trasformare i ragazzi della "Compagnia delle Indie" in maestri del neorealismo) in cui occhiali di tendenza, idromassaggi nella neve, gare di sci, yacht, loghi di multinazionali e amplessi esagerati (ma chiaramente falsi) tra lenzuole di seta, anzichè palesare un amore lo ridicolizzano. Dopo è un’escalation nel vuoto, con la professionalità degli psicologi messa per l’ennesima volta a dura prova e i continui tira e molla affettivi dei personaggi sempre più privi di senso. A danneggiare ulteriormente il risultato, la bellezza degli attori protagonisti, dapprima accattivante poi sempre più insopportabile. Anche la divertente trovata della scala con i gradini sonori diventa alla lunga ripetitiva. Essendo un film coreano, poi, non possono mancare alcuni passaggi obbligati: la pedofilia (malamente appiccicata attraverso un micro-raccordo di sceneggiatura poco utile agli sviluppi), almeno un dettaglio gore (una gratuita porzione di testa e qualche frattaglia qua e là) e un po’ di sesso esplicito.  Inevitabile, infine, la conclusione tragica, a conferma di uno stile in cui la narrazione procede per luoghi comuni ed è solo un pretesto. Ma l'esibita ricerca formale manca di un piglio personale e, ancorata alla volubilità delle mode, resta prigioniera dei confini dorati di una vetrina vuota.