TRAMA
La vita di Novi Ligure, tranquilla cittadina della provincia piemontese, cambia tragicamente la sera del 21 febbraio 2001: in una villetta vengono uccisi una mamma e un bambino e le prime indagini seguono la pista dei ladri, probabilmente albanesi o slavi. Per 48 ore non si parla d’altro: l’informazione italiana gronda di dettagli macabri sul duplice omicidio. Nel paese si avverte una vera e propria ondata di panico.
RECENSIONI
Prima della Verità
Nessun dettaglio morboso, nessuna verità taciuta e solo ora venuta a galla, ma un punto di vista lucido e costruttivo sul bluff dei media e sulla strumentalizzazione politica dell'informazione. Il delitto di Novi Ligure del 21 febbraio 2001 viene quindi letto trasversalmente. Ad essere presi in esame sono infatti i due giorni intercorsi tra il massacro e la scoperta della verità. Per quarantotto ore i compaesani degli assassini e l'Italia intera hanno pensato (e sono stati portati a pensare) che i colpevoli fossero immigrati albanesi o slavi. Il documentario di Guido Chiesa, prodotto da Fandango, mostra estratti dei telegiornali e delle trasmissioni a sfondo sociale programmate nelle due fatidiche giornate. Abbiamo così modo di rivedere, con il medesimo imbarazzo ora evoluto in sgomento, le lacrime in diretta di Paola Saluzzi, l'inopportuna gigioneria di Luca Giurato e il qualunquismo dei vari "speciali" pomeridiani e di prima serata. I lodevoli presupposti sono però inficiati da una certa mancanza di fiducia nelle capacità critiche dello spettatore. Al materiale di repertorio, infatti, sono affiancati didascalici quadretti di fiction che vorrebbero dare voce ai molteplici punti di vista in relazione ai tragici eventi, ma finiscono con il forzare la naturale logica delle deduzioni. I tanti monologhi che compongono la narrazione (l'immigrato, il puttaniere, il negoziante, il nucleo familiare, il vicino di casa) diventano così un fastidioso di più, una sorta di commento a margine che anzichè sottolineare un punto di vista finisce con lo scolpirlo. Purtroppo la lezione che ne consegue toglie efficacia allo strumento utilizzato, non vanificandone il risultato ma smorzandone la forza.
Storytelling
La levigata armonia dei filmati di repertorio è bruscamente inquinata dalle sgranature dei notiziari: i media si accapigliano, le primedonne catodiche frignano (s)composte e s’indignano in nude-look, l’uomo e la donna della strada sono pronti per i rispettivi primi piani. Nell’affrontare uno dei crimini televisivamente più rilevanti degli ultimi tempi, Guido Chiesa crea un Blob in cui frammenti di (supposta) realtà si alternano a schegge di (im)pura invenzione: in ambienti oscuri e glaciali, fra X-Files (le multiple didascalie) e uno stage-movie brechtiano, alcuni personaggi telefonicamente collegati e irreparabilmente divisi (si) raccontano drammi minim(al)i legati alla macroscopica allucinazione centrale. Il grottesco parto del verosimile (fiction) guida a una verità pochissimo nascosta (non fiction): la realtà è un effetto di discorso, l’unico elemento concreto è il panico, la paura di un ente ignoto che nessuno vuole conoscere. La tesi è cristallina, lo svolgimento un po’ ingessato ma capace di unire ironia macabra e vera tensione (la scomparsa del puttaniere frustrato) fondendo i piani della (ri)produzione [le interviste (simulate) virate in un bianco e nero d’impianto espressionista]. Inutile e bruttino il pedinamento vagamente(/vanamente) zavattiniano delle fasi della giornata di un immigrato (contrapposte con opprimente manicheismo all’indistinta e verbosa isteria di segno italico), da antologia gli inserti d’infotainment.