Documentario, Recensione

FRANK GEHRY – CREATORE DI SOGNI

Titolo OriginaleSketches of Frank Gehry
NazioneGermania/U.S.A.
Anno Produzione2006
Durata83'
Montaggio

TRAMA

Sydney, regista, intervista Frank, architetto.

RECENSIONI

Sydney Pollack non dialoga con Frank Gehry in maniera univoca: se l'architetto lo ha scelto personalmente per questo documentario, posta un'amicizia di lunga data, egli non lo omaggia acriticamente ma preferisce la divagazione e lascia respirare le volute del discorso. E' così che sfilano sullo schermo lo psicanalista, gli amici, i committenti e i critici dell'artefice del Guggenheim Museum di Bilbao, che non viene risparmiato dall'accusa di gigantismo, egocentrismo, riconoscibilità (l'amore per il marchio di fabbrica) fino alla ripetitività. Al primo lungometraggio non fiction riesce a Pollack ciò che nelle ultime prove, cfr. The Interpreter, era sfuggito: lasciare il film a tesi mantenendosi sobrio e rigoroso, in equilibrio tra le opere di Gehry e la sua personalità complessa (Cerco di nasconderlo ma sono sempre in competizione), aprendo ampie questioni senza il suggello fuorviante della risposta definitiva. Dall'esaltazione (il pittoresco intervento di Schnabel, non meno di Hopper) all'affossamento il passo è breve; nel sottofondo si muovono questioni scomode, come il trascorso disagiato dell'artista (Ero sempre sull'orlo della bancarotta) o l'innegabile centralità della committenza (Non penso mai a un'opera astratta, aspetto che mi venga proposto un lavoro), che non vengono strumentalmente scavalcate ma esposte con encomiabile trasparenza e chiarezza. A livello figurativo Pollack si lancia all'inseguimento della luce: scomponendo i materiali di Gehry, dagli schizzi ai mirabolanti esiti finali, l'autore vince la sfida della trasformazione e li imprime nel film attraverso un nuovo pigmento, quello pellicolare, rispettandone con sacralità tutti i riflessi e ombreggiature. Presentato fuori concorso a Cannes 2006.

Un regista di fama mondiale, al suo debutto nel documentario, incontra uno degli architetti più affermati e innovativi. Sydney Pollack si mette infatti al servizio di Frank Gehry per una lunga e piacevole chiacchierata, in cui il celebre architetto racconta un po' di sé e del suo metodo di lavoro. Li lega un'amicizia trentennale che offre lo spunto per una riflessione sul processo creativo. È sempre interessante sedere, seppur virtualmente, al cospetto di una personalità geniale che è riuscita ad affermare il proprio talento e a rendere concreti i propri sogni. Il merito di Pollack è nella discrezione della sua regia, in complice ascolto dell'amico e dei suoi fermenti artistici. Lo stile è infatti informale e alterna il digitale, per il lieve conversare tra i due, alla pellicola, per trasmettere la sublime bellezza delle opere di Gehry. Ad arricchire il confronto, che raggiunge il suo apice nel momento in cui entrambi gli artisti si interrogano sulle reciproche esperienze legate alla messa in pratica di un'idea ("il talento è un malessere allo stato liquido", afferma Pollack), brevi interventi di estimatori e detrattori (il più kitsch, Julian Schnabel, il più simpatico Bob Geldof), oltre al divertente contributo dell'analista di Gehry. L'approccio didattico non sfora mai nel didascalico e la celebrazione del genio punta più alla comunicazione che al mito. Tra aneddoti e note biografiche si ha così modo di entrare in contatto con un uomo capace non solo di pensare cose magnifiche, ma anche di realizzarle, imponendo il proprio sentire (ego? spleen? intuito? bramosia? talento?) sull'omologazione imperante. L'armonia e l'eccentricità delle opere di Gehry, valorizzate dal commento sonoro di Claes Nystrom e Jonas Sorman e da una regia che alterna il dettaglio alla visione d'insieme, riescono a oltrepassare lo schermo e raggiungono lo spettatore, stimolandone la sensibilità artistica. Una ghiotta opportunità per solleticare la propria curiosità in un campo, l'architettura, poco frequentato dal cinema e affrontato quotidianamente più nelle devastanti conseguenze (le case, per lo più orribili, che subiamo) che nella fase concettuale. Efficace il doppiaggio italiano, sfasato rispetto all'originale lasciato in sottofondo. Scelta che permette di evitare i sottotitoli favorendo la comprensione senza cancellare l'atmosfera intima del progetto.