TRAMA
Aguzzini e prigionieri di un campo di concentramento khmer si rincontrano davanti alle telecamere.
RECENSIONI
Si tratta di un documento storico e di un’opera cinematografica di rara forza. Il lavoro fatto da Rith Pahn è più unico che raro e parlare di documentarismo sarebbe senza dubbio riduttivo. S-21 è un film girato nel tentativo di ricostruire l’esperienza di un campo di concentramento khmer (S-21, appunto) attraverso le riprese di una serie di incontri tra gli aguzzini e i (pochissimi) sopravvissuti alle torture perpetrate loro in quelle stesse stanze. Un cinema (e un’esperienza) estremo che compie una feroce azione di dissotterramento della memoria servendosi degli strumenti più vari, dalla fiction alla non-fiction, dallo scorrimento delle fotografie dei morti al racconto orale. Le sequenze più spietate sono quelle che analizzano la folle burocrazia della morte voluta dal regime khmer (per inciso, una della più tremende sciagure accadute al genere umano). Ogni condannato era obbligato (con le torture più inaudite) a scrivere una biografia in cui confessava di aver commesso dei reati assurdi e senza senso e a denunciare a sua volta un’altra cinquantina di persone che con ogni probabilità nemmeno conosceva. Vediamo scorrere centinaia di questi documenti ascoltando i racconti delle folli storie che racchiudono e in qualche caso guardando la foto del condannato. Ma S-21 è composto anche da altre scene agghiaccianti in cui Rith Pahn cerca di rimettere in scena a distanza di anni i gesti degli aguzzini, che vediamo muoversi per i corridoi della prigione urlando ordini dentro le stanze vuote dove un tempo erano rinchiuse le vittime del regime. E’ un film indimenticabile e fondamentale, che andrebbe visto da tutti, che mostra una nuova concezione della rappresentazione della storia al cinema.
