Commedia, Fantascienza

MEN IN BLACK II

TRAMA

Un’aliena cattiva e tentacolata sbarca sulla terra per recuperare una luce magica che conferisce poteri dei quali, al momento, non ricordo quasi nulla. Poco male. Quasi subito si scopre che tanto la trama è solo un pretesto per girare un sequel appena più riuscito dell’originale…

RECENSIONI

Back in black, I hit the sack, I’ve been too long, I’m glad to be back...

Men In Black era un classico esempio di megaproduzione multitarget, confezionata per grandi accondiscendenti, piccini di fine millennio e spettatori consapevoli addolciti dalla zolletta di zucchero dell’(auto)ironia. Men In Black II è, 5 anni dopo, un classico esempio di megaproduzione multitarget, confezionata per grandi accondiscendenti, piccini di inizio millennio e spettatori consapevoli addolciti dalla zolletta di zucchero dell’(auto)ironia. Solo un po’ più divertente. Là dove MIB azzeccava qualche gag ma zoppicava vistosamente stiracchiandosi verso una sequenza finale, però ammettiamolo, s-p-l-e-n-d-i-d-a[1], MIIB è più smaliziato dal pdv strettamente comico e, nonostante il suo statuto di sequel indurrebbe a pensare il contrario, regge meglio la novantina di minuti di mostrilli e bave gentilmente offerti dalla Industrial Light & Magic[2], dimostrandosi complessivamente più fresco ed agile del suo predecessore. Merito sicuramente di una coppia d’attori ben assortita (Will Smith ci è, Tommy Lee Jones probabilmente ci fa[3]) e di una sceneggiatura che dimostra di gestire con disinvolto mestiere le due-tre ideuzze fondanti e costituenti della serie, annacquando gli elementi potenzialmente più “scomodi” del primo MIB (es.: il parallelismo/metafora invasione aliena-immigrazione) e facendo sporadiche scampagnate dalle parti del politicamente scorretto (le gag “cattive” ai danni del povero Michael Jackson[4]). Tutto qui. Ultima annotazione: MIIB ha esplicitamente imboccato la via dell’autoreferenzialità[5]; benché il fattore meta- sia sostanzialmente implicito in ogni sequel di ogni sequela, l’esplicitazione-appalesamento del fatto che un film sia un film e che un sequel sia un sequel[6] deve sembrare a Hollywood un buon espediente per mettersi al riparo da certe critiche e da certa critica. In effetti lo è. E’ difatti innegabile che la frase di lancio “back in black”, riferita tanto all’avvento di meninblackdue (il film) quanto al ritorno dell’agente K tra le fila dei meninblack, scoraggi un po’ da subito il trito, frusto e vieto j’accuse ai soliti-americani-a-corto-di-idee-che-non-trovano-di-meglio-che-girare-seguiti-dei-film-di-successo, j’accuse al quale i soliti-americani rispondono: “lo sappiamo, grazie, ma come vedete abbiamo il buon gusto di scherzarci su”. Contenti loro, moderatamente, svogliatamente contenti noi...

[1] virtualissimo controzoom men in black – terra – universo che scopriamo racchiuso in una biglia con la quale stanno giocando degli alieni dell’oltrespazio. Bello. MIIB, tra l’altro, tenta di ripetere il colpaccio finale con esiti trascurabili
[2] e da Rick Baker. Francamente, nell’orgia di immagini algoritmiche è difficile immaginare quale ruolo abbia rivestito il buon vecchio Rick Baker, padre-figlio della vecchia scuola tutta lattice, gomma e caucciù...
[3] Tommy Lee Jones fa anche, nelle prime apparizioni “smemorate”, una quasi spudorata imitazione dello Walter Matthau attonito cinico e sornione, non senza una certa efficacia comica
[4] mai il detto “sparare sulla crocerossa” fu più appropriato e puntuale. Povero Michael Jackson...
[5] fin da subito: la prima sequenza ha quel tipo di autoreferenzialità che fa molto “The Simpsons”
[6] e che il cinema sia il cinema, se è per questo

Tutto è relativo

Perché esplorare l'universo con Star Trek quando le forme di vita aliene si nascondono fra di noi? Lo spazio è un concetto relativo. Come ogni Man in Black che si rispetti, Smith/J soffre di solitudine ma finisce con lo stupirsi delle vedute ristrette di un popolo alieno che lo elegge a divinità del secolo e vive all'interno di un armadietto, ignorando l'esistenza di un mondo oltre lo sportello. L'ultima inquadratura di (per gli amici) MIIB rimpicciolisce i nostri eroi in un abissale scenario d'armadietti, incastonati in chissà quale parte del Tempo e dello Spazio. Tutto è relativo. Speculazione a parte, il secondo capitolo delle Pompe Funebri dello Spazio non tradisce più di tanto le aspettative, smette le vesti del kolossal-cult e indossa gli abiti di un B-movie di fantascienza degli anni cinquanta, svelto, efficace, divertente, ingegnoso. Manca l'effetto novità, ma le morfologie extraterrestri di Rick Baker (trucco) e John Berton (effetti visivi) sono sempre estrose e irresistibili. Sonnenfeld (La Famiglia Addams 1 e 2) è un esperto in miscele d'orrore e comicità (e in seguiti all'altezza dei predecessori) e i suoi angeli custodi dell'immigrazione intergalattica (cui si aggiunge il logorroico e simpatico cane Frank) hanno umor "nero" da vendere, fedeli ad una linea editoriale che accantona i vangeli del politically correct secondo Hollywood. Spruzzate d'(in)sano, edwoodiano, "trash" sono rinvenibili nella messinscena kitsch della serie Tv presentata da Mr. Mission: Impossible, nella sequenza in cui l'alieno è "gravido" di un umano divorato e lo vomita per ragioni estetiche (!) e nell'idea dell'evacuazione che diventa letteralmente uno sciacquone (!). La femme fatale Linda Fiorentino è sostituita da Mrs. Lara Flynn Boyle ed è un topos il combattimento finale con il super-schifido mostro ma, cloni a parte, tutto il resto (o quasi: confischiamo il cinefilo rincoglionito) è una striscia spassosa: dal cameo di Michael Jackson al deneutralizzatore simil-sedia elettrica, dal mento pallonio alla gag dell'arsenale nascosto nel tranquillo focolare borghese. Per 48 Ore, i "poliziotti" Smith e Jones si fanno da spalla l'uno con l'altro e finiscono con lo specchiarsi in una storia che si ripete (l'amore perduto), in un "seguito" uguale ma diverso, inferiore agli occhi di chi ha la memoria storica del precedente. Tutto è relativo.