TRAMA
Mongolia cinese. Tuya si occupa del gregge di famiglia, grazie al quale mantiene se stessa, il marito invalido e i loro due figli. Il marito, Bater, la convince a divorziare, così da potersi risposare con un uomo in grado di provvedere a lei e ai bambini. Tuya accetta, ma solo a condizione che il nuovo marito si occupi anche di Bater.
RECENSIONI
Asia + spaccato sociale + attori (per lo più) non professionisti = allori berlinesi (Orso d'oro 2007, per essere precisi). L'identità è facile e non errata, anche se Il matrimonio di Tuya non è certo fra i saggi peggiori che l'Accademia Orientale destina ai festival occidentali. Ammirata la duttilità della primadonna [la cui performance cozza volutamente (?) con il generale torpore recitativo], registrata l'essenzialità con cui Wang coglie alcuni snodi della storia (il passaggio dalla strada sterrata all'asfalto e l'apparizione di un traliccio dell'alta tensione, sintomi della deriva urbana e conseguente alienazione cui va incontro la famiglia della protagonista), applaudita la drammaticità che scaturisce da una sequenza scabra e azzeccata (il tentato suicidio di Bater), non si può fare a meno di notare che i dialoghi sono schiavi di un didascalismo imbarazzante, che le situazioni simmetriche (la costruzione del pozzo, iniziata da Bater e ripresa da Sen Ge, che presenta così la propria "candidatura" a spasimante di Tuya; il vecchio compagno di scuola arricchitosi con i pozzi di petrolio, che anticipa con il proprio racconto la lancinante decisione di Bater) lo sono fino alla nausea, che non basta un'overdose di costumi sfarzosi per illuminare un finale che, più che sospeso, sembra malamente improvvisato (complice il ricorso al solito, ammuffito espediente della Ringkomposition).