TRAMA
Alex Fayard è un autore di successo di romanzi polizieschi. Per l’uscita del suo nuovo libro, è invitato in Giappone. Una sera incontra Tamao, una geisha che gli confida le sue angosce: è minacciata di morte da un suo ex amante che potrebbe proprio essere Shundei Oe, romanziere amatissimo per le sue opere ultraviolente e provocatorie di cui Alex è lo specialista francese.
RECENSIONI
E' probabile che quella del regista sia una riflessione sul cinema e sul genere che arriva a cose ampiamente dette, tanto che molta critica ha ignorato l'aspetto ludico-teorico dell'operazione, prendendo tutta la questione molto seriamente (un'ambiguità di senso della quale il regista è senz'altro conscio e che porterà lo stesso pubblico ad odiare o a apprezzare il film a seconda del grado di lettura praticato); a me pare invece che il gioco di Inju sia così spudorato e divertito da meritare tutt'altro genere di attenzione (in fondo il falso incipit, in cui Schroeder gira in pratica il suo film chambara, è una mise en abyme studiatamente chiassosa che suona come franca e inequivocabile dichiarazione d'intenti: nello stesso modo non è possibile prendere alla lettera l’intrigo reale nel quale il protagonista va a cacciarsi e che si rivela in tutto simile a quelli letterari di cui è esperto conoscitore). Non sbaglia dunque il regista a esasperare i toni (che appaiono, a tratti, quelli del rozzo thriller televisivo condito da un conseguente erotismo tutto potenziale e visivamente lecitissimo) e a stilizzare tutto, a caricare i personaggi fino al grottesco (la figura di Shundei Oe è quella di un cattivone idealizzato – e debitamente deforme - da film di serie B), a sbarellare i livelli (i frequenti inserti onirici mai preannunciati, i falsi flashback), attenendosi anche al codice del noir (c'è naturalmente una femme fatale) e a muoversi tra realtà e apparenze, con decise puntate nell'horror (anche un po' trash) a smussarne la torbidezza di fondo; non sbaglia neanche nel mantenere il tono distanziato e freddo, ché dietro lo svolgersi delle vicende di Alex, scrittore occidentale, esperto e imitatore dell'autore orientale Shundei Oe, dietro la sua arroganza e la sua irritante ingenuità, si cela la riflessione, quella sì seria, su una tendenza, troppe volte irrispettosa e disinvolta, del cinema (così come della cultura) occidentale a fagocitare elementi, topoi e canoni di quello orientale, snaturandoli per renderli appetibili alla vasta platea (in tal senso il finale, che punisce proprio l'arroganza di Alex – Magimel, magnifica figura glaciale, è il solito antipatico protagonista dei film di questo regista - vale come un monito).
Tratto da un romanzo di Edogawa Rampo, autore cardinale della letteratura gialla nipponica, letteralmente idolatrato in patria – che si autorappresenta nel famigerato personaggio di Shundei Oe -, passato per le mani di Ruiz, Inju è l'ennesima camaleontica prova di Schroeder, il cui ostinato tenersi lontano dall'autorialità è divenuto, paradossalmente, la sua cifra, e che alle prese col Giappone cinematografico decide di manovrarne i cliché non dissimulandoli mai, presentandoli ironicamente nudi.