WITH THE GIRL OF BLACK SOIL

Anno Produzione2007

TRAMA

Corea del Sud, regione di Kanwondo, un piccolo villaggio di minatori. La famiglia della piccola Young-Li, una bambina di nove anni, è in profonda crisi. Il fratello maggiore Tong-gu, mentalmente menomato, ha bisogno di costanti attenzioni e il padre Hyegon, ammalatosi di polmonite, ha perso il lavoro in miniera senza ricevere l’indennizzo. Passano i giorni e Tong-gu continua a cacciarsi nei guai, mentre il padre inizia a bere. Sola e spaventata, Young-Li escogita una soluzione drastica.

RECENSIONI

Esalazioni soffocate

Docente alla facoltà di Studi cinematografici nell’Università Kyungsung a Pusan, Jeon Soo-il con Geomen tangyi sonyeo oi intende descrivere la vita umile e rassegnata di un piccolo villaggio di minatori dal punto di vista incontaminato di una bambina di nove anni. La crisi economica che investe l’attività mineraria si ripercuote sull’intero villaggio, provocando a sua volta pesantissime ricadute sulla famiglia della piccola Young-Li. La struttura “a cascata” che informa With a Girl of Black Soil soffre insomma di un determinismo piuttosto indigesto nella sua rigidità. L’impianto sociologico nasce già vetusto e senza sfumature, sicché è praticamente impossibile aspettarsi sorprese o colpi d’ala: sappiamo fin dall’inizio che a questo circolo vizioso non è possibile porre rimedio con l’iniziativa individuale e che ogni tentativo slegato dagli altri non può che tradursi in ribellione velleitaria o in azione controproducente. Il dramma supplementare si produce quando il soggetto costretto a ribellarsi isolatamente non può sviluppare una coscienza politica per motivi culturali, mentali o anagrafici (come nel nostro caso): privo della dimensione collettiva, lo scontento porta inesorabilmente a conseguenze tragiche. Soggetti senza coscienza di classe che rivolgono l’insoddisfazione contro loro stessi: una lezioncina marxista francamente deprimente nel suo schematismo. Ma se l’impianto ideologico del film si incanaglisce nell’esposizione della tesi, Jeon Soo-il sa come farla diventare cinema. Con uno stile che fa male: sottrazione a oltranza, elisione dei nodi drammatici, prosciugamento della materia sentimentale. E un trattamento del genere, per chi non sia irrimediabilmente e inconsapevolmente condizionato dai modelli retorici spettacolari, non può che esaltare. Ma, al di là del soffocamento delle fiammate patetiche e della negata conclamazione del dramma, la sorpresa maggiore di questo Figli della terra nera viene dalla inaudita facilità con cui Jeon Soo-il mescola documentario e finzione. Anche in questo caso la formula sembrerebbe risaputa (film d’impianto sociologico con rinforzo documentaristico), in realtà la commistione tra i due registri discorsivi è ottenuta con una flessibilità semplicemente disarmante. Non si tratta di secca alternanza tra riprese dal vivo e blocchi narrativi, ma dell’incessante oscillazione delle immagini tra i due poli della documentarietà e della narratività, col film che attraversa questo continuum senza mai assestarsi su una misura standard, su un regime finzionale prevedibile. Una fluidità che è vera e propria ricerca e che apre effettivamente nuovi orizzonti all’ibridazione dei modelli di rappresentazione, esplorando il territorio della fusione con una duttilità e una profondità che, onestamente, non avevamo mai visto prima. L’instabilità dello schema: splendida contraddizione. Sequenza memorabile: il canto serale dei minatori nel ristorante, col crudele allontanamento della mdp che incornicia la loro mestizia nella sterilità dell’autocommiserazione.

Compiaciuto esercizio di miserabilismo cinematografico, With a Girl of Black Soil è il tipico prodotto orientale da esportazione festivaliera. Guardando alle peripezie dei disgraziatissimi personaggi – il protagonista perde il lavoro di minatore, si scopre malato, cerca un nuovo lavoro, non lo trova, viene malmenato, inizia a bere trascurando i due figlioletti, uno dei quali con difficoltà di apprendimento – e pensando al progressivo emergere dell’incredibile personaggio della figlia, troppo scaltra e razionale per la sua età, al paesaggio desolato e desolante, al finale disperato che avrò il buon cuore di non rivelare, il pensiero non può che andare alla Germania anno zero di Rossellini. Ma siamo su un altro pianeta, nonostante la forma non disprezzabile ma leggermente di maniera: la concentrazione di una tale teoria di disgrazie in novanta minuti fa ampiamente superare al film il confine che separa il realismo umanista dalla parodia (involontaria).