TRAMA
John, lasciato dalla compagna Ingrid, accetta un invito delle sue vicine di casa. Il gioco seduttivo delle due ragazze però comincia ben presto a farsi pericoloso.
RECENSIONI
Le vicine di casa sono dedite a sesso e violenza ma forse (forse?) tutto quello che avviene nell’appartamento adiacente è solo una proiezione mentale del protagonista, forse (forse?) queste fantasie nascondono un realtà agghiacciante che è stata rimossa e che, cominciando a puzzare, è il caso di allontanare da sé con forme di delirio sempre più sofisticate.
Un film neanche bruttissimo questo thriller psicologico, ben ambientato e fotografato, con un uso non smodato della macchina a mano, se non fosse clamorosamente scontato in tutti i suoi risvolti, la sceneggiatura azzardando poco o nulla sul piano dell’ambiguità, limitandosi a rimestare nella stessa broda per un’oretta e passa e compiacendosi del proprio fondo trasgressivo. Anche le farneticazioni in progress del protagonista vengono rese secondo codici risaputi e lo sviluppo della questione è clamorosamente telefonato. Pieno zeppo di rimandi (un po’ Hitchcock, un po’ Lynch, un po’ Polanski), NABOER è un film, in definitiva e letteralmente, tutto di apparenze.

L’Erba delle vicine è sempre più nera
Da latitudini lontane, un thriller teso e coinvolgente giocato sulla rottura di quel sottile equilibrio che separa la vita quotidiana, fatta di lavoro, amici e amori, dalla follia. Lo spunto è la separazione di una coppia. L'uomo restituisce alla ex le sue cose, la vorrebbe trattenere, ma non ci riesce. Sopraggiunge quindi l'invito di una vicina di casa, che poi sono due, e nel labirintico appartamento contiguo comincia un viaggio con sempre minori probabilità di ritorno. Al terzo lungometraggio Pal Sletaune, considerato uno dei talenti più promettenti della Norvegia, costruisce un'atmosfera tesa e avvincente per una discesa agli inferi dal forte impatto emotivo. Fino a quando il mistero ha il sopravvento il gioco funziona perfettamente, nel momento in cui le carte si iniziano a scoprire (forse troppo presto) la tensione si allenta, ma colpisce il rigore per la messa in scena e l'abilità del giovane regista nel flirtare con gli spazi mantenendo coerenza nella visione e progressione nella scrittura. Determinante il contributo sonoro, sia nella musica che nella distribuzione degli effetti e ottimo il cast.

Il buon vicinato
Il caso del Festival: dalla (mala)mente di Pål Sletaune, da noi conosciuto per il solo POSTA CELERE (1996), un garbuglio psicologico prodotto dalla Zentropa di Von Trier. Perso tra fischi ed osanna mi colloco orgogliosamente in posizione intermedia: NABOER nella prima parte è davvero notevole, portando un’inquietudine polanskiana a vette sublimi (lo smoking e i piccioni su tutti) e calandoci nella terribile realtà (distorsione? allucinazione? altro?) del suo protagonista. Seppure il tutto sia un giochino poggiato su stereotipi (la figa della porta accanto) che perde decisamente smalto nel suo dipanarsi, seppure il finale diventi apertamente deludente (compresa la macabra chiusura), seppure il thriller mentale sia genere ormai sputtanato che vanta oggi pochino da dire, seppure risulti a tratti smaccatamente falso e preparato questo filmetto norvegese ti avvolge in un’angoscia abissale da tempo smarrita. Eppoi il coraggio rappresentativo mi pare innegabile: la sequenza di sesso sadomaso con la vicina di casa, tra macchie di sangue e gocce di sperma, rimane l’irrinunciabile scena cult di Venezia 2005. La sanità mentale, questa sconosciuta.
