TRAMA
Una donna sposata sta per partorire, ma il bambino nasce già morto. Il marito non si dà pace, chiedendo a Dio la spiegazione di un evento così tragico. Un giorno, osservando gli abitanti del proprio villaggio, l’uomo si convince che Dio gli ha portato via il figlio per sottrarlo alla volgarità della vita terrena e si sente responsabile di una missione: uccidere tutti i bambini del villaggio per sottrarli alla vanità del mondo.
RECENSIONI
Nel profondo del delirio
Tentativo fallito del cinema iraniano di uscire dalle convenzioni che lo hanno portato alla ribalta internazionale. Il film di Ali Mohammad Ghasemi ha infatti tempi tutt'altro che lenti, nessun piano sequenza e nessun bambino bellissimo al centro del racconto. Anzi, i bambini fanno una brutta fine perché un uomo, dopo avere perso la moglie che ha partorito un figlio nato morto, impazzisce fino a diventare una sorta di serial-killer. La molla della follia scatta quando si rende conto della volgarità delle persone del suo villaggio mentre si gettano senza ritegno sul cibo. In quel momento il protagonista si sente spinto da una forza divina e decide di evitare che i bambini possano scontrarsi con la stessa avvilente realtà. A livello cinematografico la sua collera trasformata in fanatismo religioso prende la forma del delirio visivo di taglio espressionista e diventa una sorta di danza tribale che si affida all'isteria di una narrazione costantemente sopra le righe. Ma non basta una tecnica elaborata con inquadrature ricercate, carrelli vorticosi, sfocature, viraggi, ralenty, improvvise accelerazioni, per trasmettere l'alienazione del protagonista. Già dopo dieci minuti di pianti e risate insensate, ma soprattutto di urla costanti, ci si sente sfiancati. La fine dei 78 minuti, in cui accade quello che tutti speravano da un pezzo, porta quindi un senso di liberazione, il che non è certo a favore dell'opera, gravata anche dall'interpretazione sovra-eccitata di Hossein Moslemi.
