TRAMA
Sei donne americane in uno dei momenti più importanti della loro vita: l’adozione un bambino. Rinchiuse tutte insieme in un esotico motel sudamericano, diretto dalla señora Munoz, aspettano ansiosamente i tempi della burocrazia locale per adottare un neonato dal vicino orfanotrofio. Passano le settimane condividendo la speranza e la disperazione che segnano il loro insostenibile desiderio di avere un figlio.
RECENSIONI
Mondi Paralleli
Autore di nicchia, più amato dai suoi colleghi che dal pubblico, l'americano indipendente John Sayles sceglie un soggetto assai interessante e lo trasforma in cinema occupandosi di sceneggiatura, montaggio e regia. Sei donne americane attendono di ricevere un bambino in adozione e passano le giornate nell'albergo di un imprecisato paese sudamericano tra chiacchiere, timori, confessioni e rivalità. Nessuna tesi da dimostrare, ma un punto di vista che tiene conto sia delle esigenze delle future madri che delle ragazze che decidono (non sempre liberamente) di affidare il proprio neonato ad un orfanotrofio. Del resto il commercio di bambini (perché di commercio in fondo si tratta) è l'attività più redditizia per questi paesi, privi di un'industria solida e bisognosi di tutto. Lo sguardo di Sayles è lucido, in apparenza pacato, in realtà molto critico. Mostra facce, personaggi di ogni classe sociale, ognuno con motivazioni diverse spesso in antitesi, ma non propone facili soluzioni e non cerca una morale con cui etichettare il racconto. Tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Lo spettatore, attraverso le sfumature e i diversi punti di vista, ha modo di farsi un'idea e ciò che deduce è tutt'altro che semplice e per forza di cose contradditorio; proprio per questa sua problematicità il lungometraggio di Sayles assume una importante rilevanza, anche politica. È un film fatto più di parole che di immagini, in cui la regia è al servizio della narrazione e delle interpretazioni delle attrici. I caratteri dei diversi personaggi sono ben delineati e non scadono mai nella macchietta, nonostante un certo equilibrio d'insieme che potrebbe suonare artificioso. Nel ricco cast spicca Marcia Gay Harden, molto credibile in un ruolo antipatico e fa piacere ritrovare una sempre bella Daryl Hannah, le poco sfruttate Lili Taylor e Mary Steen Burgen e la "secretary" Maggie Gyllenhall. A Susan Lynch, la scena più toccante del film: il confronto con la giovane cameriera sudamericana; si confidano reciprocamente nella lingua natale (quindi senza capirsi) la motivazione dei propri gesti: il bisogno di sentirsi accettata ricoprendo il ruolo sociale di madre per l'americana e, per l'altra, l'impossibilità di prendersi cura del proprio bambino. Un dialogo che rende tangibile la distanza incolmabile tra i due mondi.